LA
COLTIVAZIONE DEL TABACCO NELLA VALBRENTA
PREPARAZIONE
DEL TERRENO PER LA VANGATURA (trar su i rodài).
Dopo
il rigido periodo invernale, nel mese di marzo si iniziava la
preparazione del terreno: le donne, munite di zappa, toglievano la
"rega" raccogliendola in fasce allineate; si spargeva il
"leame" trasportato con la "siliera" o nei
"bugaroi".
Generalmente
nel mese di aprile (qualcuno vi provvedeva anche prima dell'inverno), il
contadino provvedeva a "trar su i rodai": con la vanga si
tracciava un solco (era mezza vangata), riponendo le zolle sempre a
monte; si evitava così che la terra, a causa della pendenza dei
terrazzamenti, gravasse sulle "masiere" a valle col rischio di
frequenti franamenti. L'operazione della vangatura aveva in particolare
la funzione di eliminare le erbe infestanti e migliorare la struttura
del terreno.I rodài percorrevano in lungo gli appezzamenti, con
l'aspetto di "binari" della larghezza di un metro circa.
VANGATURA
E LIVELLATURA DEL TERRENO (vangàr)La vangatura vera e propria del
terrazzamento, prima del trapianto, iniziava a metà maggio circa
(dipendeva anche dall'andamento della stagione) e risultava tra l'altro
una operazione assai veloce. Aspetto non trascurabile perché in quella
fase della coltivazione i lavori sui terrazzamenti erano assai numerosi
e gravosi.Questo era il lavoro più duro per il contadino. Non potendo
usare l’aratro si doveva preparare il terreno con la sola forza delle
braccia. La vanga girava le zolle di terra e le spianava con maestria,
guidata dalla fatica e dal sudore dell’uomo.Il terreno così livellato
era pronto per la piantagione delle piccole piantine di tabacco.
SEMINA
(semenar su 'e vanède)Dopo i rigidi mesi invernali, si iniziava con la
semina del tabacco nelle "vanede o vanese", appositamente
preparate in un luogo riparato dal vento ed esposto al sole ed inumidite
con il "bevarol". Per favorire la nascita e la successiva
crescita delle piante, si riparava la zona con "e portee"
posate sopra "e forsee".
Nel mese di marzo si iniziava la preparazione del terreno: le donne,
munite di zappa, toglievano la "rega", raccogliendola in fasce
allineate, e le altre erbe infestanti; si spargeva il "leame"
trasportato con la "siliera" o nei "bugaroi"; si
tracciavano "i rodai" usando solo il "baìle"
(l'aratro era ancora sconosciuto nella valle) e poi si vangava con cura
meticolosa.All’inizio della primavera, circa alla metà di marzo, il
capo zona passava per le contrade della Valle. Consegnava ad ogni
titolare di concessione la quantità di semi necessaria per allestire il
semenzaio, assegnata in rapporto al numero di piante che il
tabacchicoltore avrebbe coltivato: si andava dalle seimila piante, o
anche meno, alle 9, 12, 15 e anche 20 mila piante. Il seme del tabacco
è piccolissimo e ne bastava qualche grammo. Per determinare con
precisione la quantità di semi utilizzava un misurino, grande come un
ditale.Agli inizi della primavera, a metà marzo (dalla festa di San
Giuseppe) fino all'ultima settimana di maggio, cominciavano le
operazioni di semina delle piantine di tabacco nostrano. Le temperature
erano ancora piuttosto fresche, quando addirittura non faceva freddo. Si
temevano soprattutto le gelate e le burrasche, per cui sulle aiuole dove
erano stati distribuiti i semi del tabacco venivano collocati dei rami
sui quali si stendevano dei teli: in genere le stesse coperte (juta)
usate per il trasporto del tabacco (ricavate dai sacchi di riso, della
farina o del frumento).Una volta nate le piantine, per farle crescere
rigogliose e in fretta, si faceva il "bevaron": le piantine
venivano annaffiate con acqua mescolata a solfato ammonico (sali), a
letame oppure urina; qualcuno usava la pollina. L'operazione richiedeva
una certa avvertenza per non bruciare le piantine.
Gli anziani raccontano che il giovedì della Settimana Santa, al Gloria
della messa, si scendeva al fiume per lavarsi il viso in segno di
penitenza e purificazione. In ogni famiglia, poi, si provvedeva a
riempire qualche botte con l'acqua del fiume che veniva in seguito
utilizzata per annaffiare le aiuole del tabacco.Dagli anni Sessanta,
anziché assegnare i semi, cominciarono a portare le piantine e con un
camioncino passavano di contrada in contrada per assegnare le piante
richieste. A fine stagione, quando si portava il tabacco alla pesa e si
otteneva il compenso della stagione di lavoro, veniva trattenuta la
somma corrispondente al costo delle piantine (la disponibilità di
denaro era ancora un privilegio di pochi).
TRAPIANTO
DELLE PIANTINE (impiantàr)Ogni terrazzamento veniva contrassegnato con
la "bifa" o "bandone" sul quale era segnato il
numero di licenza e dell'appezzamento.
Nei primi giorni di giugno si iniziava il trapianto: era quasi un rito
al quale partecipava tutta la famiglia. Il capofamiglia, preso in spalla
il "cristo o misura", tracciava linee ortogonali tra loro. Sui
"posti", all’incrocio delle linee, le donne, armate di
"caecia" riponevano le piantine (che ormai avevano raggiunto
l’altezza di otto-dieci centimetri) e le abbeveravano con un po'
d'acqua trasportata dalla Brenta col "bigòl". Risultavano così
dei filari regolari della larghezza di circa sessanta centimetri l’uno
dall’altro.
RINCALZATURA
O SARCHIATURA (dar tera)Non appena le erbe infestanti cominciavano a
crescere, si procedeva alla zappatura per eliminarle e per rincalzare le
piantine che ormai avevano raggiunto l’altezza di quindici-venti
centimetri (ossia veniva tirata su la terra per tenerle dritte e
difenderle dal vento). In quell’occasione si concimavano le piantine
con il "pocio", liquame dei gabinetti (latrine). Si
controllava la presenza di eventuali parassiti come i "vermi",
che rodevano il colletto delle piante o le "sucaroe"
(grillotalpa), che intaccavano le radici.
In tal caso si sostituivano immediatamente le piante con altre, le
"rimesse", trapiantate appositamente in più rispetto al
numero consentito e se non venivano utilizzate dovevano essere sradicate
e distrutte, pena multe salate.Il capozona della "Regia" con
uno o più funzionari si presentava per la "conta" delle
piante. Nel caso ce ne fossero più del lecito, quelle eccedenti
dovevano essere sradicate e distrutte. Talvolta si scavavano delle buche
che servivano per trattenere l'acqua, soprattutto nei campi in pendenza,
come lo sono in gran parte quasi tutti i terrazzamenti.
CIMATURA
E ASPORTAZIONE DEI GERMOGLI (simàr e rabutàr)Giunte ad una certa
altezza (circa quaranta-cinquanta centimetri), le piante venivano
cimate, togliendo la parte più alta. Questa operazione permetteva lo
sviluppo delle foglie rimaste nello stelo, o gambo. In genere rimanevano
tre o quattro corone di foglie, con una decina delle stesse per pianta.
Molto presto questa reagiva con l'emissione di germogli, i
"rabuti", che dovevano essere subito tolti. Il
"rabutar", lavoro piuttosto monotono, era la mansione delle
donne e dei bambini.
ASPORTAZIONE DELLE FOGLIE PIU’ BASSE O SECCHE (repuimento)Un altro
lavoro prima della seconda verifica da parte degli addetti della
"Regia" era il "repuimento", cioè l'asportazione
delle foglie basali che venivano eliminate perché di poco valore. Un
tempo questo lavoro veniva fatto dalla Finanza per evitare il
contrabbando.Questa operazione richiedeva l’aiuto reciproco di varie
famiglie coltivatrici che a turno si aiutavano a ripulire le foglie più
basse, piccole o brutte, lasciando sullo stelo le più belle e sane, che
venivano contate dall’addetto del Monopolio. Le foglie tolte venivano
gettate in una buca appositamente scavata in un angolo
dell’appezzamento stesso, tagliuzzate con le vanghe e sepolte per
evitare che venissero usate come contrabbando. Tutto ciò avveniva sotto
lo sguardo vigile della Finanza.Ormai era tutto pronto per il secondo
controllo delle foglie. Infatti la consegna al magazzino era "per
foglia", si doveva cioè consegnare il numero esatto di foglie
stimato nell'operazione di conteggio. L'operazione avveniva contando le
foglie di ogni singola pianta di un numero di file prese a campione.
Veniva quindi fatta una media in base alla quale veniva fissato il
numero delle foglie che dovevano essere consegnate al magazzino. Se non
veniva fatta la consegna esatta bisognava risarcire. Evidentemente al
coltivatore conveniva consegnare al magazzino il numero preciso di
foglie di tabacco.
RACCOLTA
O VENDEMMIA (vendemàr o tor su tabacco)Verso la fine di settembre le
foglie cominciavano a maturare, specie le più basse. Iniziava così la
vendemmia. Si iniziava dal basso, poiché erano le foglie della corona
più bassa quelle che giungevano prima a maturazione. Successivamente
era la volta del "fior" o "prima", cioè le foglie
più alte, più grandi e più pregiate. Quindi si passava alla
"seconda". Sul campo poteva rimanere qualche pianta non ancora
giunta a completa maturazione, i "gambarei". Il tabacco
raccolto veniva predisposto ai bordi del campo in "carghe",
con i "bugaroi", pronte per essere portate a casa, per lo più
a spalla.
Il Nostrano del BrentaSi coltivi il "Nostrano del Brenta"
suonavano gli ultimi contratti fra coltivatori della Vallata e l’ormai
morente Repubblica di Venezia (Trattato di Campoformido del 18 ottobre
1797)!
Il "Nostrano del Brenta" è una
pianta di bassa statura, molto resistente all’azione del vento, di
notevole aroma e rusticità: una varietà di tabacco, spuntata dopo un
secolo di lavorazione, selezionata da una terra avara che, quando vuole,
sa riservare, tra i sudati frutti che produce, qualche dono vitale.Più
tardi, studiosi e tecnici avrebbero distinto tre tipi colturali: il
Cuchetto, pregiato per il suo aroma, ma ben presto abbandonato perché
troppo delicato; l’Avanetta, dalla foglia piccola, ma di buona qualità,
nelle due forme liscia e bollosa; l’Avanone, molto produttivo, ma di
pregio inferiore, detto anche Campesano dal paese di Campese, dove
veniva coltivato da lungo tempo. Da ricordare anche il Nostrano Gentile,
un ibrido, simile all’Avanone, ma con un numero più elevato di
foglie.
MACERAZIONE
(metare in màsara)A casa, il tabacco veniva messo immediatamente in
"màsara", per essere portato ad ingiallimento mediante
fermentazione. Le foglie cioè venivano accatastate, in soffitta o nelle
stalle, con la punta della foglia rivolta in alto e la costa verso
l'esterno. Nell'arco di qualche giorno, constatato il giusto
ingiallimento raggiunto, si procedeva alla cernita delle foglie, cioè a
"sernir". Si passavano le foglie una per una, mettendo da
parte quelle non ancora pronte e distinguendo le altre a seconda della
grandezza.Bisognava controllare sovente la giusta macerazione per
evitare che andassero a male o marcissero. Nei locali si respirava
un‘aria pesante per il forte odore del tabacco.
ESSICCAZIONE
(picàr sui smussi)Quando le foglie erano diventate tutte gialle, si
portavano sulle soffitte per appenderle sugli smussi (listelli lunghi
tre-quattro metri) in modo che si essiccassero all’aria.
Disteso uno "smusso" per terra, si passava a
"picar", stendendovi sopra le punte di due o tre foglie per
volta e sovrapponendone gradualmente le punte senza dimenticare di
fissare con lo "speo" gli ultimi due gruppi di foglie.
Lo "smusso" così pronto veniva collocato sui
"teari", telai per l'essiccazione, nelle soffitte o nelle
stanze alte dell'abitazione.Dopo una quindicina di giorni, per
completare l’essiccazione, le foglie venivano girate dall’altra
parte, sovrapponendo un altro listello e rovesciando il tutto.
Periodici controlli erano necessari per verificare l'andamento
dell'essiccazione, al fine di evitare l'ammuffimento. Dopo un mese
circa, ad essiccazione quasi ultimata (tutte le foglie erano
completamente marrone e la costa centrale doveva essere ancora un po’
morbida), si prendeva per mano smusso per smusso, rovesciando il tabacco
in catasta, "in banca", per il raggiungimento del giusto grado
di umidità e per poterlo lavorare senza romperlo.
CERNITA FOGLIE E PREPARAZIONE DEI MAZZI (stiràr e far mazzi)Nel tardo
autunno si faceva la cernita. Le foglie, distinte in base alla grandezza
e alla qualità, venivano stese con cura in "massi" di 50
foglie, legati con spago, rafia o anche con le scorze del tiglio. Con le
foglie colpite dalla tempesta, che aveva reso il tabacco
"rosto", si facevano dei mazzi a parte. Queste operazioni
venivano eseguite generalmente nella stalla, in più persone, da parte
delle donne. Le foglie venivano stese delicatamente con la mano, ma si
racconta che talvolta alla stiratura si procedeva addirittura con il
ferro da stiro a brace. Si rifacevano le "banche" con i mazzi
ben allineati e pronti da consegnare al Monopolio di Stato a Carpané.
ESTIRPAZIONE STELI (cavar i gambùgi)L’ultima operazione all’aperto
consisteva nel togliere gli steli delle piante di tabacco rimasti negli
appezzamenti dopo la vendemmia. Sovente era motivo di gara sportiva tra
i giovani. Vinceva chi ne toglieva di più in meno tempo. Una volta
tolti dal terreno, venivano violentemente sbattuti tra loro per togliere
la terra e ammucchiati in piccoli covoni per poi bruciarli a primavera.
Intanto l’inverno con la neve si avvicinava... e i lavori erano
finiti!