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ITINERARIO ARTISTICO ASOLO E POSSAGNO

 

ASOLO

 

La "Bot" L'acquedotto romano in cunicolo ed il "Centro Documentazione"

L'acquedotto in cunicolo della "Bot", unico manufatto pubblico dell'epoca romana giunto quasi integro fino ai nostri giorni, è certamente il monumento meno conosciuto di Asolo.
Praticamente abbandonato dopo la distruzione del tratto terminale a seguito dei movimenti franosi del Monte Ricco e recuperato alla sua funzione originaria dalla Serenissima, viene citato nei vari documenti storici quasi esclusivamente per la sua funzione infrastrutturale.
Risale al 1835 il primo rilievo scientifico del manufatto a cura dell'ingegnere Monterumici per il suo ripristino e nello stesso anno viene riscoperto, nel corso dei lavori, lo sbocco a sud a monte delle Terme.
Nemmeno Pacifico Scomazzetto, attento studioso delle antichità asolane, autore della individuazione delle Terme Romane, vi dedica la dovuta considerazione malgrado l'acquedotto fosse un elemento fondamentale della funzionalità delle Terme stesse.
Solo nel 1918 l'architetto Léon Gurekian rileva ed analizza il manufatto sotto il profilo di documento storico e con la relazione della "Commissione per la protezione dei Monumenti e dei Paesaggi dell'Asolano" del 1922 ottiene, nel 1923, il vincolo del monumento.
Da quella data la "Bot" cade nuovamente nell'oblio; la "Cava" viene utilizzata come deposito, cantina e, nel corso dell'ultimo conflitto, come rifugio antiareo.

Nel 1987 Italo Riera, in seno all'Istituto di Archeologia dell'Università di Padova, inizia il rilievo e lo studio scientifico del monumento e, da allora, ne cura la conoscenza e la pubblicazione degli studi.
Per ovvi motivi non è possibile visitare il monumento se non per il tratto iniziale della "cava" superiore.
Il "Centro Documentazione della Bot" sopperirà a questa lacuna consentendo, oltre ad una visita virtuale, l'accesso ad una completa documentazione del monumento stesso.

 

CastelloIl Castello della Regina Cornaro. Il Teatro "Eleonora Duse"

Il Castello di Asolo, noto anche come "Palazzo Pretorio" o "Castello della Regina Cornaro", occupa a sud ovest del centro cittadino un ristretto ed elevato sperone roccioso disposto lungo un crinale dall'elevata valenza strategica. Da tale posizione la fortezza domina vigile vasta parte del territorio e l'abitato sottostante.
Mancano dati certi che chiariscano l'origine dell'impianto fortificatorio o che facciano luce sui primi episodi insediativi nell'area.

Il Diploma dell'imperatore Otone I del 969 nomina per la prima volta un castrum Asili, ma non può essere accertata fin da allora la reale presenza di una struttura difensiva in Asolo. L'ambiguità semantica del termine castrum infatti non permette di precisare se l'espressione castrum Asili indichi con precisione un impianto fortificatorio dislocato in città oppure definisca l'intero borgo organizzato con strutture difensive.
In un altro documento del 1211 si associa alla presenza di un castrum quella di un burgus e di una villa: queste distinte definizioni di ambiti spaziali e funzionali possono in realtà costituire la prima prova della presenza castellare in Asolo. Nulla si sa della forma delle primitive fabbriche poiché obliterate dai successivi restauri e rifacimenti cui fu sottoposto il poderoso edificio.
Nel 1242 il Castello, vero fulcro sociale, economico e politico della vita cittadina nel Medioevo, fu dimora di Ezzelino da Romano mentre dal 1339 divenne sede dei podestà veneziani e prima della fine del XIV secolo venne inglobato nel circuito delle mura cittadine.
Nel 1489 il Castello si trasformò nella residenza della regina-prigioniera Caterina Cornaro, allontanata dal suo regno di Cipro dai Veneziani che le offrirono in cambio la simbolica signoria della cittadina pedemontana e del suo territorio.
Dalla morte di Caterina Cornaro il corpo di fabbrica e la sua corte subirono diverse modifiche e interventi di restauro (sono noti quelli del 1695, 1796, 1816, 1830) che fecero assumere al vecchio centro civile e amministrativo cittadino destinazioni funzionali di secondo piano nel contesto urbano.
La grande "Aula Pretoria" o "Sala della Ragione", dove i podestà veneziani amministravano la giustizia, venne trasformata nel 1798, alla caduta della Serenissima, in teatro, mentre la parte occidentale del Castello, nucleo vitale della fortezza nel Medioevo e già dimora della Cornaro e di Ezzelino, venne demolita intorno al 1820. Permane oggi ben visibile da ogni parte della città la maestosa torre, già utilizzata per installazione di un mulino a vento in epoca carrarese e poi come torre campanaria del Comune fino ai nostri giorni.

 

Della conformazione originaria del Castello rimane una documentazione planimetrica dell'ing. Ausilio Manera del 1862 basata su una "Mappa eretta nel 1811".
La didascalia della planimetria riporta:
A) Fabbricati esistenti nel 1862.
1. Grande torre antica con iscale interne ed esterne con due Carceri ed abitazione, sopra i vari piani l'orologio e la campana di pubblica ragione.
2. Torrione antico con scala esterna e due Carceri sovrapposte, detto la Reata.
3. Mura antiche di tutto il Circondario ingrossate all'interno con arcate vuote e torrione detto il Carro (posto a valle del Portello di Sottocastello) in parte demolito.
4. Salone di pubblico ricevimento della Regina, ora teatro sociale con sottoposte Carceri ed abitazione.
5. Casa rustica di varie stanze e due piani.
B) Fabbricati demoliti prima del 1820.
6. Scala esterna che immetteva al salone delle pubbliche udienze.
7. Vestibolo terreno del Palazzo, con scala esterna di fronte a verone di amena veduta.
8. Salotto che comunica con le stanze del piano nobile superiore.
9 - 10 - 11. Tre camere del piano nobile superiore.
12. Cucina in parte terrena.
13. Chiesetta sotto il titolo di S. Biagio al piano terreno.
Si osserva che le suddette stanze di abitazione erano pavimentate di terrazzo e di pianelle, col palco di travi e tavole, e sopra eranvi altre stanze e soffitte.
Pianterreno (della casa della regina) sottoposto alle stanze 9, 10, 11 e parte del 12.
14. Sottoportico aperto alle due estremità.
15. Cisterna d'acqua piovana.
16. Quattro stanze di servizio a vari usi.
La parte sud occidentale del Castello, fu acquistata dal figlio di R. Browning che vi costruì l'abitazione con la inconfondibile "torretta".
Nel 1930 venne smantellato il teatro ottocentesco e sostituito da un cinema/teatro.
Nel corso degli ultimi anni il complesso del Castello e della Torre dell'orologio è oggetto di un radicale restauro che, tra l'altro, ripristina il teatro con una forma riecheggiante la struttura primitiva.
Durante i recenti lavori di restauro sono state messe in luce, con uno scavo di ricerca archeologica nell'angolo nord ovest del fabbricato, le strutture di impianto originarie del Castello ora parzialmente visibili nella "Sede delle Associazioni".

 

Il Maglio quattrocentesco di Pagnano.Topografia e Storia. La struttura ed il suo funzionamento. L'officina del maglio, utilizzata da epoca medievale fino al 1979 per la lavorazione del metallo, sfrutta la forza motrice fornita da una derivazione idrica del torrente Muson che dalla sorgente fino al termine del territorio asolano era sfruttato per attività consimili quasi senza interruzione.
La costruzione del maglio può essere fatta risalire al XV secolo, anche sulla base della data del 1468 incisa su una pietra angolare dell'edificio.
il maglioLa struttura dovette essere utilizzata come sede di lavorazione del metallo almeno fin dal 1472, quando nel primo estimo asolano vengono nominate presenti in quest'area due ruote ad acqua, due mole, un maglio grande e due paia di mantici.
Successivamente nel XVII secolo il complesso mutò anche la destinazione funzionale divenendo un follo da panni e come tale venne rappresentato in una mappa del 1655 relativa alla zona del ponte di Pagnano.
L'antica officina fabbrile tornò ad essere operante almeno dall'inizio del XIX secolo quando viene censito, nei sommarioni del catasto napoleonico del 1811, il fabbro Valentino Colla quale proprietario della casa di abitazione e dell'annessa struttura. La dinastia dei Colla è rimasta saldamente alla guida dell'officina da allora fino quasi ai giorni nostri.
Il complesso, aperto a meridione, è formato da tre distinti corpi di fabbrica che si saldano ad angolo retto per formare una corte ad "U".
A ridosso del canale si trova l'officina, dotata di due ruote a pale e di un raro esempio di tromba idroeolica di concezione leonardesca, mentre lungo la strada che sale ad Asolo si dispongono un ambiente di servizio e la casa di abitazione.
Il complesso, ora di proprietà della Amministrazione Comunale, è stato oggetto di un restauro conservativo per la parte del maglio vero e proprio, è stata ripristinata la funzionalità del canale di adduzione ed è in fase di attuazione il restauro del rimanente corpo di fabbrica.

Il complesso del maglio e del fabbricato attiguo verrà destinato a laboratorio-scuola fabbrile, sede di corsi e dibattiti nonché quale ambiente museale della lavorazione artigianale del ferro.


Il Maglio di Pagnano è visitabile.
Le Mura Il progetto di difesa del borgo medioevale secondo l'impianto fortificatorio ancor oggi in parte esistente, trovò completa realizzazione nel corso del XIV secolo, quando Asolo divenne oggetto di aspre e continuate lotte tra le signorie di Verona, Padova e la Serenissima.
Probabilmente la città era già da tempo provvista di una serie di torri e opere difensive isolate, come per esempio sembra attestare la menzione di una turris Butis nel 1261, ma le prime precise attività relative alla cinta sono registrate nel 1318 quando vengono approntati "bitifredi", "spinade", "ramade" e soprattutto quando si procede alla costruzione di non meglio definite "mura a secco" lungo alcuni tratti del perimetro urbano.
Decisivo per il definitivo assetto della cinta fu il dominio padovano in Asolo tra il 1381 e il 1388. Fu allora che si iniziò a murare burgum Asili da parte di Francesco da Carrara senza tuttavia portare a compimento l'opera prima dell'avvento definitivo dei Veneziani. Con decreto del Senato veneziano del 7 giugno 1393 venne ordinata la completa fortificazione della città, considerata il simbolo stesso della sicurezza di tutto il Pedemonte
Il circuito delle mura non si limitò a comprendere tutta l'area fittamente insediata e il complesso del
Castello, ma fu esteso fino alla Rocca, sulla cima del Monte Ricco, che veniva così a divenire parte fisica della cittadina e suo privilegiato punto a valenza strategica, sia di avvistamento sia difensiva.

Le MuraIl circuito murario si estendeva per una lunghezza di 1360 metri con 24 torri disposte in punti strategici e alcune porte e portelli, non tutti coevi, in corrispondenza delle vie di accesso e di uscita dalla città.

Le aperture sono: il portello di Castelfranco (detto anche Loreggia, dei Ceci, Sacchetti, Novo) non previsto nel XIV secolo ma aperto probabilmente poco dopo la metà del XV, la porta Dieda, demolita nel 1812 per la costruzione del Foresto nuovo (detta anche di S. Gervasio, di S. Angelo, di Borgonovello), il portello di S. Martino, oggi murato e parzialmente visibile nel giardino di villa De Lord (esterno mura) o nel giardino della "Casa Rossa" (interno mura), il portello del Colmarion (detto anche della Bot, di S. Girolamo), la porta di S. Caterina (detta anche del Foresto, di Belvedere, dello Spirito Santo) e il portello di Sottocastello.
In età moderna e contemporanea sono crollati o sono stati demoliti alcuni tratti al Borgonovello, nella Val Cagnana e nella valle Bottarella.
Non esistono fino ad oggi dati di alcun genere che sostengano l'ipotesi, più volte avanzata e sostenuta pur in assenza di qualsiasi appoggio, dell'esistenza di un sistema di mura in epoca romana.

 

roccaLa Rocca. L'evoluzione delle strutture insediative e di difesa dal VI/VII al XV/XVI secolo

L'origine della Rocca, costruita sulla cima del monte Ricco che sovrasta il centro di Asolo, era fatta risalire, fino a pochi anni fa, ad epoca preromana e romana. A questa ipotesi aveva aderito anche l'archeologo asolano Pacifico Scomazzetto.
Nel 1984 le discipline di Archeologia delle Venezie e di Topogrtafia dell'Italia antica, dell'Università di Padova, hanno inziato lo studio sistematico del monumento con una campagna di scavi archeologici che hanno proseguito fino al 1991. La campagna di studio è stata estremamente proficua.
La prima opera dell'uomo sulla zona sommitale del monte Ricco sembra potersi identificare in una piccola aula di culto absidata, databile alla seconda metà del VI secolo. Il tratto di mosaico messo in luce nella zona dell'abside è stato trasportato nel Museo. Successivamente l'area sommitale del monte è stata utilizzata come necropoli. Ad un periodo successivo della chiesa sono anche da attribuire delle strutture abitative con dei semplici focolari domestici ed i resti di due crogiuoli per la fusione dei metalli. La data di costruzione della attuale Rocca può essere indicata, con notevole approssimazione, tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII secolo. La cisterna/pozzo posta all'interno, di foggia veneziana, è databile al XIV secolo. Dall'iniziale possesso del Vescovo di Treviso, la Rocca passò in rapida successione ai da Romano, al comune di Treviso dopo la metà del XIII secolo, poi ai Veneziani con la costituzione della Podesteria nel 1339, ai Carraresi per un breve periodo e infine nel 1388 definitivamente nelle mani della Serenisima. La Rocca venne coinvolta nel suo ultimo episodio bellico nel 1510 . Dagli spalti della Rocca è possibile godere una visione a volo d'uccello ed a giro d'orizzonte: dalla pianura padana a tutto l'arco alpino circostante. Durante le giornate limpide e con condizioni di luce favorevole si intravvede chiaramente la laguna di Venezia.

 

La Rocca è visitabile nei giorni di sabato, domenica e festivi.
Per visite infrasettimanali di comitive contattare:

- informazioni: Ufficio di Informazione ed Assistenza Turistica (IAT) - Tel 0423 529 046, Fax 0423 524 137, E-mail iat.asolo@provincia.tv.it
- prenotazioni: Ufficio Cultura del Comune di Asolo - Tel 0423 524 637, Fax 0423 55 745, E-mail biblio@asolo.it

 

il teatroIl Teatro Romano
Gli scavi di Pacifico Scomazzetto: 1887
Gli scavi dell'Università di Padova: 1988 - 1993

Cantiere archeologico per il restauro - 1997

Scriveva, nel 1877, Pacifico Scomazzetto:
"Un'altra base di pilastro, verso sud, venne scoperta negli avanzi del teatro romano, dietro la cavea, di contro la pianura, verso est.
Morto il proprietario della riva ove esisteva il teatro, venne comperato da certo Sig. Krumi, il quale distrusse tutte le vestigia, lasciando solo il gran dado di pietra, sito fra due soglie di porte.

Esaminando bene il dado trovai due piccoli buchi quadrangolari nella faccia superiore, all'estremità del lato che fronteggia la cavea. Giudico che quei buchi fossero fatti per due ferri che tenevano fissa in quel lato una lastra di pietra, probabilmente una iscrizione. Nello sterro degli avanzi ho trovato 14 frammenti di pietre scritte, alcune delle quali imperiali secondo Momesen, e forse uno dei frammenti appartenevano all'iscrizione del dado.
La proprietà del suddetto stabile, è passato ora, Luglio 87, ad un inglese, certo Jungh.". (Manoscritto inedito, Archivio Gurekian, Pacifico Scomazzetto - "Note sul passato di Asolo", 1992)

Di Pacifico Scomazzetto è pure la planimeria degli scavi che è servita alle discipline di Archeologia delle Venezie e di Topografia dell'Italia antica dell'Istituto Universitario di Padova, sotto la guida del Prof. Guido Rosada, ad iniziare, nel 1988, la campagna di scavi per la riscoperta del monumento.
L'indagine è continuata negli anni successivi fino al 1993 con notevole successo. È infatti stata riportata alla luce la quasi totalità del monumento, per la parte ricadente sul suolo di proprietà della Amministrazione Provinciale di Treviso.
Il Comune di Asolo, in accordo con la Provincia di Treviso, ha approntato il progetto di restauro e valorizzazione del monumento.
I lavori che prevedono la creazione di un'area museale aperta al pubblico avranno inizio nella primavera del 1997.

 

Le Terme Romane. Pacifico Scomazzetto: Gli scavi del 1877le terme Nel 1877, dopo un dibattito durato molti anni, il Comune di Asolo decideva di sacrificare un intero borgo centrale, il Borgo Alocco, per la realizzazione di un ampio spazio per il mercato dei bovini che venne chiamato Piazza del Mercato, nome conservato fino a qualche anno fa.
È quindi comprensibile che non ci sia stato alcun dubbio, allora, sulla necessità di ricoprire immediatamente quanto era stato scoperto.
Le uniche informazioni documentate delle Terme Romane sono quindi quelle che ci ha lasciato Pacifico Scomazzetto, il farmacista-archeologo di Asolo.
Dalla data dello scavo ad oggi si sono verificate solo due occasioni di confronto scientifico con il suo lavoro, su iniziativa dell'ingegnere Ohannés Gurekian.
Nel 1964, nel corso della sistemazione e ripavimentazione della piazza, è stato eseguito un sondaggio che ha portato alla luce un vano pavimentato con mosaico bianco, bordato da due fasce nere, simile alla descrizione dello Scomazzetto ed in posizione assai prossima alla sua indicazione planimetrica.
Il manufatto è stato rilevato e documentato fotograficamente.
Dopo il reinterro sono state inserite delle piastrelle rosse nella pavimentazione in porfido, tuttora visibili, ad indicare la posizione del vano.
Nel 1965, nel corso dei lavori di allargamento di via Collegio ed ampliamento della gradinata nell'angolo nord est della piazza, è stato riportato alla luce il pozzo preromano.
Questo è stato inglobato nella struttura della scalinata ed è tuttora visibile.
Questi due riferimenti non combaciano esattamente con il rilievo planimetrico dello Scomazzetto che, come lo stesso precisa, essendo stato eseguito a stralci e indubbiamente in fretta, probabilmente può a sua volta contenere delle imprecisioni.
Per ottenere un posizionamento esatto, e quindi poter formulare delle ipotesi attendibili sulla estensione del monumento per la parte non conosciuta, sarebbe necessario eseguire qualche sondaggio mirato per rintracciare dei riferimenti che dovrebbero essere ancora presenti visto che, sempre a detta dello Scomazzetto, sono stati ricoperti lasciando inalterata la leggibilità della pianta del monumento.

 

Il DuomoIl Duomo Secondo una leggenda manoscritta del XII secolo la chiesa cattedrale di Asolo sarebbe stata fondata da S. Prosdocimo, vescovo di Padova, nel corso della sua evangelizzazione del territorio veneto.
Se nessun elemento può suffragare la veridicità di questa tradizione tarda, pare invece verosimile porre come terminus ante quem per la costruzione del più importante edificio di culto cittadino il 590; l'esistenza a quell'anno di un vescovado facente capo ad Asolo, esistenza registrata in documenti ufficiali, implica infatti anche la presenza di un complesso religioso quale fulcro dell'episcopio.
La particolare posizione topografica in seno alla città, la sua connotazione come sede vescovile testimoniata anteriormente al 969, anno della fine della diocesi, la titolazione a S. Maria Assunta spesso riservata alle primitive cattedrali e anche motivi di carattere archeologico fanno pensare che fosse precisamente l'odierna cattedrale la primitiva sede del vescovado e la più importante chiesa cittadina.
A una datazione alta del primitivo edificio di culto nel sito attuale sembra far pensare anche la diretta sovrapposizione tra il più antico pavimento della chiesa (rilevato durante lavori di scavo) e articolate strutture romane in situ.
La prima citazione esplicita del complesso si ha solo nel 969, quando viene espressamente nominata, in connessione al castrum Asili , l'Ecclesia in honore Beatae Virginis Mariae constructa.
Il Pronao Nulla si sa delle fabbriche della chiesa almeno fino al 1200 quando alcuni labili indizi possono far proporre una struttura notevolmente più bassa della moderna e ad una sola navata con cappelle laterali.
Nel 1584, secondo la descrizione di una visita pastorale, la chiesa doveva avere assunto all'incirca la struttura che ancor oggi si può vedere, mentre una significativa risistemazione avvenne nel 1606, in seguito ad un disastroso crollo del tetto che costrinse la comunità asolana ad una ricostruzione della copertura su disegno del Massari, dell'abside e dell'altare maggiore.
Altri interventi risalgono al 1747, quando la copertura a capriate lignee venne sostituita da crociere e i pilastri in mattoni da quelli in pietra, e al 1810 con il rifacimento completo del pavimento.
L'aspetto attuale della facciata, variamene elaborata dal Medioevo in poi, è dovuta a un intervento portato a termine nel 1889 su progetto di Pietro Saccardo, che giustappose il paramento visibile alla vecchia facciata, obliterando di fatto, ma non eliminando, quest'ultima.
Fino al 1815, allorché per le disposizioni napoleoniche i morti dovettero essere sepolti al di fuori delle città, la chiesa era circondata sui lati sud ed ovest da un piccolo cimitero.

 

S. AnnaS. Anna Sul luogo di un preesistente sacello dedicato allo Spirito Santo sorse negli anni immediatamente successivi al 1587 il convento con l'annessa chiesa di S. Anna.
Fu lo stesso Pontefice Sisto V che concesse ai Frati Cappuccini, con bolla papale di quell'anno, di organizzare il complesso religioso sul colle Messano. I religiosi poterono condurre vita tranquilla fino al 1769 quando per decreto della Repubblica Veneta il convento venne chiuso e trasferito in proprietà del Comune. Dopo un periodo di utilizzo delle fabbriche da parte di privati, nel 1804 si propose di donare l'intero complesso ad Antonio Canova. L'idea non ebbe seguito e il convento tornò a ricoprire funzioni secondarie di lazzaretto, di caserma e di ricovero per i poveri.
Dopo un secolo e mezzo di alterne vicende e di semiabbandono, il vecchio convento poté alla fine ritrovare la primitiva e più consona destinazione con il ritorno dei Frati Cappuccini avvenuta il 14 novembre 1928; allora assunse la denominazione di S. Anna da un altare che esisteva nella chiesa.
In seguito alle disposizioni napoleoniche che imponevano il trasferimento dei cimiteri al di fuori dei centri urbani il "belvedere" del convento fu utilizzato come area sepolcrale.
Da allora illustri personaggi della vita asolana vennero a riposare per sempre in quest'eremo addormentato tra il verde silenzioso; tra essi Pacifico Scomazzetto, Vittor Luigi Paladini, e in tempi più recenti Manara Valgimigli, Eleonora Duse e da ultima Freya Stark.

 

S. CaterinaS. Caterina La chiesa e l'ospedale di S. Caterina vergine d'Alessandria vennero fondati dalla confraternita di S. Maria dei Battuti.
La consorteria religiosa, esistente in Asolo probabilmente già dal 1304, acquisì nel 1342, per lascito di eredità, un podere in contrada Foresto, oggi di S. Caterina, con la clausola che in essa venisse edificata "una chiesa over hospedal ad onor et reverentia di S.ta Caterina vergine". Nel medesimo documento, con data 1346, venne annotata anche l'avvenuta costruzione della chiesa e dell'ospedale.
L'interno della chiesa venne decorato, tra il XIV e il XV secolo, con un primo ciclo di affreschi, oggi appena visibili, e subì nel corso del XVI secolo un restauro abbastanza rilevante che comportò anche una nuova decorazione pittorica interna rimasta a tutt'oggi visibile e recentemente restaurata.

L'ospedale continuò a funzionare fino all'inizio del corrente secolo quando venne costruito il nuovo Ospedale Civile e l'antico edificio venne adibito a caserma dei Carabinieri.

 

S. GottardoS. Gottardo La chiesa lungo il Foresto vecchio, oggi conosciuta come S. Gottardo, era un tempo parte del convento dei Padri Minori Coventuali ed era dedicata a S. Angelo.
Le prime notizie certe sull'esistenza del complesso sacro risalgono ai tempi di Ezzelino da Romano. Nel 1254, e con maggior certezza documentaria nel 1264, vengono nominati per la prima volta, in un contratto di vendita di terreni, i padri del convento, ma nessun dato o riferimento ci aiuta a saper da quanto tempo il convento stesso esistesse.
Significativa, ma non legata alla cronologia del monumento, è la presenza di mosaici romani poco al di sotto del livello di calpestio della chiesa.
Nel 1329 avvenne la consacrazione della chiesa, dotata di tre altari e di un cimitero, per mano dell'arcivescovo di Budua Giovanni Luciani, vicario del vescovo di Treviso.
Non si sa se la consacrazione avvenne per la costruzione di una nuova chiesa o per un restauro di quella precedente.

Esiste una consolidata tradizione, tuttavia non attestata da alcun documento dell'epoca, del sepellimento nel cimitero del convento del beato Arnaldo da Limena, tenuto prigioniero da Ezzelino nella torre Dieda dal 1246 e assistito fino alla morte, avvenuta nel 1255, dai frati di S. Angelo.
S. Angelo divenne il più conosciuto convento di Asolo e offrì ospitalità a numerose personalità di rilievo che soggiornavano in città e divenendo anche scuola, dotata di ricchissima biblioteca, per i figli delle più importanti casate asolane.
Le fabbriche del convento si disponevano a mezzogiorno della chiesa ed erano organizzate intorno a due chiostri.
La soppressione degli ordini religiosi ordinata da Venezia nel 1769 causò l'abbandono del convento da parte dei frati, la sua vendita al Colledani e infine la caduta in stato di abbandono e degrado che consigliò l'abbattimento delle fatiscenti strutture negli anni tra il 1820 e il 1830. Venne preservata, tanto nelle strutture quanto nella disposizione planimetrica, solamente la chiesa che passò alle dipendenze della Parrocchia di S. Maria.
Pochi anni prima della demolizione il complesso venne rilevato e disegnato nel catasto napoleonico di inizio secolo.

 

S. PietroSS. Pietro e Paolo La chiesa e l'annesso monastero benedettino femminile che sorgono presso la porta Colmarion ai piedi del colle della Rocca erano in origine dedicati ai SS. Pietro e Paolo e hanno assunto per un certo periodo la denominazione di S. Luigi dopo la trasformazione del convento in Istituto scolastico e di aggregazione giovanile. Da poco è stata ripristinata l'originaria denominazione.
La costruzione del complesso fu progettata nel 1567, ma solo con gli inizi del XVII secolo le strutture videro definitivamente la luce. Il 31 maggio 1634 chiesa e convento vennero consacrati dal vescovo e le monache benedettine vi presero dimora.

L'edificio era in origine composto da quattro corpi di fabbrica organizzati intorno ad un chiostro, con un avancorpo (la chiesa) proteso verso la strada e la porta Colmarion.
La pur apprezzata attività educativa delle religiose e la loro presenza in Asolo ebbe ufficialmente termine nel 1807 con la soppressione dell'ordine religioso e con la successiva vendita dell'immobile da parte del Demanio.
Il vecchio convento fu allora trasformato in Collegio e divenne la sede delle Scuole Comunali e di un ginnasio mantenendo poi tale funzione, pur tra alterne vicende, per tutto il secolo scorso e buona parte di questo fino alla costruzione del nuovo edificio scolastico presso l'Ospedale.
L'ala orientale del chiostro venne distrutta la notte del 14 marzo del 1814 da un incendio; della parte scomparsa se ne serba tuttavia preciso riferimento planimetrico nel rilievo catastale napoleonico risalente a pochi anni prima. Per riparare i danni dell'incendio vennero impiegati in larga parte i materiali ricavati dall'abbattimento dell'oratorio di S. Salvaso lungo il Foresto vecchio.

 

Casa Longobarda Casa LongobardaÈ un edificio dalla singolare foggia architettonica situato all'estremità occidentale della contrada di S. Caterina o colmello di Messano. La struttura non ha nessun legame con il mondo longobardo, ma è stata così chiamata perché dalla Lombardia proveniva l'architetto Francesco Graziolo che all'inizio del 1500 la progettò e poi la abitò. Graziolo era giunto ad Asolo attratto dalla presenza di Caterina Cornaro di cui presto divenne il personale architetto. Oltre alla singolare struttura della Casa Longobarda, il Graziolo eseguì il camino di villa De Mattia (Filippin), la vasca del fonte battesimale della Cattedrale, le formelle della via Crucis al Monte dei Frati e varie opere un tempo esistenti presso il Barco della Regina ad Altivole.

 

Ca' Zen Nel 1490, Caterina Cornaro donò a suo nipote N.H. Pietro Zen una parte del sobborgo di S. Gervaso (ora Foresto Vecchio) "essendo inculta, et piena di sassi e sterpi e burroni".
Ca' ZenLì, nel 1942, fu edificata Ca' Zen sotto la guida di Pietro Lugato (lo stesso del Barco della Regina ad Altivole) su commissione della famiglia Zen di Venezia non solo quale residenza nell'entroterra ma anche come residenza stabile giacché Pietro Zen era ambasciatore ed accompagnatore ufficiale della Regina.

Rimase residenza estiva di questa antichissima famiglia di navigatori, armatori di imbarcazioni da guerra e governatori in Italia e fuori di provincie Veneziane (vedi Treviso governata nel secolo XVI da Pietro Zen) fino all'estinzione degli eredi maschi. Nella seconda metà del 1700 la sua barchesa fu ricostruita dall'architetto Giorgio Massari.
Barchessa Ca' Zen
Nella prima metà del 1900 fu residenza stabile del Conte Brisighella Zen che l'ereditò dalla nonna e nel dopoguerra fu sede per diversi anni di un Seminario di Padri Canossiani.

Il complesso è ora di proprietà famiglia Balbinot che, con un accurato e radicale restauro, lo ha riportato al suo originario splendore.

 

Palazzo BeltraminiPalazzo Beltramini (Municipio) La piazza Gabriele d'Annunzio, nota un tempo come il "Pavion" o "Pavejon", ospita il palazzo, sede oggi dell'amministrazione cittadina, che già era in proprietà della famiglia Beltramini.
Questi erano giunti ad Asolo dalla Valsassina verso il 1470 e intorno al 1500 sono già ricordati come possessori di una casa al Pavejon.
La stessa famiglia esercitava con profitto l'arte tessile e prestava denaro ad usura; divenne una delle più rinomate casate asolane e giunse a possedere diversi palazzi in città e nel territorio.

Interno Palazzo BeltraminiIl palazzo in piazza d'Annunzio venne restaurato e strutturato nelle forme attuali intorno alla prima metà del 700 dal celebre architetto Giorgio Massari su commissione della famiglia Beltramini.
Per la decorazione architettonica della facciata inserita nello stretto spazio della piazzetta venne adottata una particolare e ingegnosa soluzione: le colonne monolitiche e bugnate, così come le finestre, sono impostate con taglio prospettico per poter essere vedute non di fronte dalla ristretta piazzetta ma dall'imbocco della via Cornaro.
Il palazzo passò successivamente ai Pasini, ai Neruda e infine al Comune che vi trasferì la sede municipale.

 

Palazzo Fietta (Serena) Nel 1576 la famiglia Fietta acquistò tre case e una torricella nel settore meridionale della città a ridosso delle mura e riunì il complesso di edifici per dare corpo all'imponente struttura del palazzo.
Palazzo FiettaLa stessa famiglia asolana lo fece restaurare verso la metà del 700 dall'architetto Massari, lo stesso che nel medesimo periodo stava lavorando per la ristrutturazione della facciata del Duomo, per il palazzo Beltramini e per la villa Fietta a Paderno del Grappa.
In un celebre stucco che orna l'interno della dimora è raffigurata la città in visione prospettica. L'ampio giardino esteso oltre il limite meridionale delle mura, oggi inglobate nelle costruzioni e non più riconoscibili, venne a far parte delle proprietà della villa solo all'inizio dell'800. In detto parco sono conservate sepolte parti cospicue delle strutture del teatro romano che vennero messe in luce alla fine del secolo scorso.

 

VillaBarbini Rinaldi È una delle più significative ville della provincia, situata al centro di una vasta tenuta, divisa tra il colle e il piano.
La fabbrica viene iniziata alla fine del Cinquecento e presenta un impianto simmetrico, il fronte principale è concepito come un'interrotta successione di episodi tratti dal repertorio classico.
Barbini-RinaldiAlcune somiglianze con la vicina Villa Barbaro accreditano l'idea che l'edifico possa essere stato inizialmente progettato da uno dei tanti seguaci di Palladio, sparsi tra Cinque e Seicento, nella terraferma veneziana.

L'assetto definitivo della villa è dovuto a uno dei proprietari, Francesco Rinaldi; figura, abbastanza comune in quegli anni cultore dell'arte e dell'architettura, egli trasforma e allarga l'edificio nel 1663 con l'ambizioso proposito di farne una delle più grandi ville della terraferma: viene cosi sopraelevato di un piano il corpo centrale e vengono ampliate le due ali di congiungimento con i blocchi laterali, anch'esse sottoposte all'opera di trasformazione.
Ne scaturisce un nuovo impianto prospettico, assai unico delle ville venete del Seicento: con il suo movimento ascendente il fronte del corpo centrale domina l'intera composizione.
Nella facciata centrale un'ingresso, poco enfatizzato architettonicamente, e dominato dalla sovrapposizione di due trifore balconate. Ai suoi lati la leggerezza delle logge di raccordo sottolinea la centralità del corpo mediano dove l'attenzione dell'osservatore è attratta dal centro della composizione e in particolare dal coronamento del timpano, dalle insegne nobiliari e dalle statue.
Interno Barbini Francesco prima, i suoi eredi dopo, commissionarono a pittori di scuola veneta una serie di affreschi nelle sale interne. Andrea Celesti, rinomato pittore della scuola del Veronese, è inizialmente chiamato a dipingere il salone e le stanze centrali con scene prese dalla storia sacra e dalla mitologia classica. Ricche di soluzioni illusionistiche la "stanza dell'Olimpo" e la "stanza delle Ore" rappresentano le migliori opere del Celesti.
Nel corso del Seicento due pittori minori, Liberi e Diziani, vengono incaricati di affrescare le scale del corpo centrale e le logge delle gallerie di raccordo.

La barchessa ad ovest è formata da un corpo principale perfettamente simmetrico, di chiara impostazione classica, caratterizzato da un maestoso portale in pietra a vista collocato al centro della facciata posta a levante. Fori, cornici, stipiti e marcapiani conferiscono a questo edificio un'importanza e una dignità di poco inferiore a quella della villa principale.
Verso sud la barchessa continua con un fabbricato che presenta aspetti completamente diversi sia per la casualità degli elementi compositivi che per le modifiche ed aggiunte avvenute in epoche recenti. Strano e privo di apparenti giustificazioni risulta essere il pavimento del piano terra e il grande solaio in legno del piano primo che presenta una forte pendenza in senso nord-sud in contraddizione con i fori presenti sulla facciata di levante che non seguono la linea di pendenza del solaio ma l'andamento della cornice di gronda perfettamente orizzontale.
Completamente privo di valore è invece l'ampliamento di recente edificazione eseguito in muratura tradizionale, solaio di copertura in travi "varese" tavelloni e manto finale in coppi, destinato ad attività produttiva e oggi non più in uso.

La barchessa ad est è un fabbricato decisamente più modesto rispetto a quello precedentemente descritto, costruito per essere in parte destinato quale alloggio del custode e delle attrezzature necessarie al mantenimento del complesso edilizio. Si sviluppa su due piani fuori terra di cui uno, il primo, molto alto con la copertura a vista formata da capriate, travi e arcarecci in legno. Di particolare pregio e la serra posta sul lato a sud chiusa da serramenti in ferro e vetro.

La barchessa a sud. è di una tipologia rurale tipica. Fabbricato composto da un piano terra e un piano primo con copertura a due falde e manto finale in coppi, destinato in parte quale residenza dell'imprenditore agricolo e in parte presumibilmente quale ricovero attrezzi.

Un secolo dopo la costruzione della villa padronale, vennero realizzati i due oratori; uno privato e dedicato a san Gaetano e l'altro pubblico dedicato a santa Eurosia. L'oratorio pubblico venne costruito a seguito di un diluvio di pioggia torrenziale che il 14 giugno 1760 spazzò via i muri della chiesa e atterrò il campanile.
L'oratorio, per pala d'altare, aveva una tela esagonale rappresentante il martirio di santa Eurosia, opera pregevole del Settecento purtroppo venduta ai primi di questo secolo.

Il parco: diviso fra il colle ed il piano nell'uno prevalgono prati, boschi e frutteti, nell'altro campi coltivati. Il giardino retrostante la villa sfrutta la pendenza del terreno articolandosi in livelli differenti, ciascuno dei quali racchiude la prospettiva entro una quinta di verde. Uno di questi e racchiuso entro una esedra arricchita da rampicanti e da statue. Secondo l'uso seicentesco, il giardino è poi abbellito da grotte e da fontane.

 

Villa Contarini È collocata ad occidente del centro storico sulla cima del Colle Messano. Il FrescoÈ uno dei più celebri monumenti asolani ed è composto di due corpi distinti ma intimamente collegati: il cosiddetto "Fresco", costituito da una scenografica facciata rivolta a settentrione e ben visibile dalla contrada di S. Caterina, e dall'edificio della villa vera e propria sul versante meridionale del colle. Le due parti sono collegate da una galleria che fora la cima del Messano.
Il complesso venne costruito dalla famiglia veneziana dei Surian nel 1558 e divenne di proprietà dei Contarini per passaggi di eredità; passò poi all'inizio del 1800 nella mani di varie famiglie nobili venete: i Bragadini, i Soranzo e i Pasqualini per essere ceduta infine al Collegio Armeno dell'isola di San Lazzaro della laguna di Venezia e tornare di recente in proprietà di privati.
All'epoca della costruzione della villa vanno riferiti gli affreschi con scene bibliche opera del bresciano Lattanzio Gambara che ancora ornano la facciata meridionale.
VillaLoredan Trentinaglia già Razzolini Situata a sud di Asolo nell'antica "Contra di Biordo" la villa, voluta come casa di villeggiatura, sorge al centro di un possedimento, inizialmente proprietà dei Razzolini, circondato in ogni lato da strade. Interno LoredanLa fabbrica di impianto seicentesco, aveva una struttura semplice e squadrata, con orientamento canonico nord-sud e copertura a due falde.
Nel 1716 appare nel Catasto Veneto, comune di Asolo ed a partire dal 1748 il nobile Onorio Razzolini ne inizia la rifabbrica della residenza suburbana di famiglia.
Alla morte del nobile Onorio Razzolini avvenuta nel 1769 succede la figlia Elisabetta, sposa nel 1782 di Antonio Loredan, che si insedia stabilmente nella villa ed è nel 1790 (circa), probabilmente con l'arrivo dei Loredan, che l'edificio assume il suo assetto definitivo mediante l'eliminazione della scalea esterna a due rampe.
La dimora rimarrà dei Loredan per centoventicinque anni fino al 25 settembre 1907 quando la villa viene ceduta al conte Oliviero Rinaldi proprietario della vicina omonima villa Rinaldi-Barbini. Nello stesso anno la figlia adottiva Ines sposata con il nobile Carlo Trentinaglia, si trasferisce nella villa che alla morte del padre, avvenuta nel 1928, diventa di sua proprietà. Con l'avvento dei Rinaldi-Trentinaglia, nel 1907 circa, viene realizzato l'affresco che decora il soffitto del salone passante della villa, ad opera del pittore Noé Bordignon. Negli anni 1928-29 viene inoltre realizzata la nuova cancellata di ferro battuto e, sempre nello stesso periodo, vengono eliminate le due alette settentrionali che univano l'oratorio e la barchessa al corpo della villa e aperte nuove finestre nelle ali dell'edificio.

 

Tratto da "Atlante Storico delle Città Italiane - Asolo"
a cura di Guido Rosada
diretto da Francesca Bocchi
© 1993
Grafis Edizioni
Via 2 giugno, 4 - 40033 Casalecchio di Reno (BO)

Valentino Ivano Sebellin

 

POSSAGNO

L’imponente Tempio neoclassico che sovrasta il panorama delle colline attorno a Possagno lega la cittadina al nome del suo figlio più illustre, Antonio Canova, che lo progettò come chiesa per il suo paese. Nel Tempio, che custodisce la tomba dell’artista, sono collocate alcune sue opere: l’autoritratto in marmo, le Metope e la Pala dedicata alla Deposizione. Un ampio viale collega il Tempio alla Gipsoteca e alla casa del grande scultore.

Le origini di Possagno risalgono ai tempi remoti: in località Steggio sono state ritrovate tracce di vita che risalgono al quaternario, con reperti paleontologici molto interessanti (nel 2001, è inaugurato un museo, presso il Centro Sociale, che presenta gli scavi di Steggio, soprattutto agli Studenti); altri reperti fanno pensare a passaggi di popolazioni neo-eneolotiche e paleovenete in tutta la Valcavasia; è probabile la presenza a Possagno di un castrum romanum e di un castelar medievale. Le prime attestazioni del nome Possagno risalgono al 1076 d.C., quando dominava nella nostra terra la famiglia dei Rover, di origine germanica. Nel 1388, dopo il breve periodo della signoria del tiranno Ezzelino, Possagno, con tutto l’Asolano, passò sotto la Dominazione della Serenissima Repubblica di Venezia, fino alla sua caduta, nel 1797.

Possagno diventò famoso in tutto il mondo per aver dato i natali, nel 1757, ad Antonio Canova: la sua opera di scultore e di architetto ha completamente cambiato in questi ultimi due secoli l’aspetto urbanistico e gli assi stradali del paese: il Tempio, la Gipsoteca e la Casa del Canova hanno spostato a oriente il baricentro di Possagno e lo hanno reso una delle principali attrattive turistiche di tutto il Veneto.

A Possagno tutto ruota attorno all'arte di Canova e quindi ai suoi pregevoli lasciti. Il Museo Canoviano di Possagno è nato tra il 1832 e il 1836, quando le opere di Antonio Canova (le sculture in gesso, in terra, in cera e in marmo, le tempere, gli oli su tela, ecc) furono trasportate dallo Studio di Roma a Possagno ed ospitate nella grande Gipsoteca che l'architetto Francesco Lazzari aveva appena terminato di costruire nel giardino di Casa Canova. Provate ad immaginare il lungo convoglio di carri e di navi, cariche di gessi, marmi e dipinti, che mossero da Roma e arrivarono nel piccolo abitato di Possagno: fu un'avventura che, per l'epoca, per i mezzi di trasporto e per le vie di comunicazione, ebbe dell'incredibile! Regista di questa poderosa operazione museale fu il vescovo Giovanni Battista Sartori (1775-1858), fratellastro di Antonio Canova e suo erede universale. Per custodire e conservare gli stabili e le opere del Museo canoviano, il Sartori nominò un conservatore-custode del Museo (il primo fu lo scultore possagnese Tonin Pasino, cui seguirono Stefano Serafin, Siro Serafin e Settimo Manera: tutti costoro abitarono in una parte della Casa del Canova); nel 1853, Sartori volle costituire il Lascito Fondazione Canova, l'Ente che ancora oggi gestisce e conserva tutti i beni artistici lasciati dal Sartori in eredità alla Comunità di Possagno.

 

LA GIPSOTECA CANOVIANA E LA CASA DEL CANOVA

Il processo creativo impiegato dal Canova per la realizzazione di una scultura era straordinario e si componeva di quattro fasi.
Il disegno era la prima fase in cui il maestro trasferiva i propri "pensieri " sulla carta:ad essi attribuiva un importanza fondamentale equiparando la matita allo scalpello.
Attraverso la pratica del disegno , che si sviluppava nelle diverse tematiche della sua arte,dalle accademie di nudo virile e femminile,alle accademie di panneggio allo studio dell'antico,agli altri studi tematici,il Canova pone le basi della sua arte scultorea...