ASOLO
La
"Bot" L'acquedotto
romano in cunicolo ed il "Centro Documentazione"
L'acquedotto
in cunicolo della "Bot", unico manufatto pubblico dell'epoca
romana giunto quasi integro fino ai nostri giorni, è certamente il
monumento meno conosciuto di Asolo.
Praticamente abbandonato dopo la distruzione del tratto terminale a
seguito dei movimenti franosi del Monte Ricco e recuperato alla sua
funzione originaria dalla Serenissima, viene citato nei vari documenti
storici quasi esclusivamente per la sua funzione infrastrutturale.
Risale al 1835 il primo rilievo scientifico del manufatto
a cura dell'ingegnere Monterumici per il suo ripristino e nello stesso
anno viene riscoperto, nel corso dei lavori, lo sbocco a sud a monte
delle Terme.
Nemmeno Pacifico Scomazzetto, attento studioso delle antichità asolane,
autore della individuazione delle Terme Romane, vi dedica la dovuta
considerazione malgrado l'acquedotto fosse un elemento fondamentale
della funzionalità delle Terme stesse.
Solo nel 1918 l'architetto Léon Gurekian rileva ed analizza il
manufatto sotto il profilo di documento storico e con la relazione della
"Commissione per la protezione dei Monumenti e dei Paesaggi dell'Asolano"
del 1922 ottiene, nel 1923, il vincolo del monumento.
Da quella data la "Bot" cade nuovamente nell'oblio; la
"Cava" viene utilizzata come deposito, cantina e, nel corso
dell'ultimo conflitto, come rifugio antiareo.
Nel
1987 Italo Riera, in seno all'Istituto di Archeologia dell'Università
di Padova, inizia il rilievo e lo studio scientifico del monumento e, da
allora, ne cura la conoscenza e la pubblicazione degli studi.
Per ovvi motivi non è possibile visitare il monumento se non per il
tratto iniziale della "cava" superiore.
Il "Centro Documentazione della Bot" sopperirà a questa
lacuna consentendo, oltre ad una visita virtuale, l'accesso ad una
completa documentazione del monumento stesso.
Il
Castello della Regina Cornaro. Il Teatro "Eleonora Duse"
Il
Castello di Asolo, noto anche come "Palazzo Pretorio" o
"Castello della Regina Cornaro", occupa a sud ovest del centro
cittadino un ristretto ed elevato sperone roccioso disposto lungo un
crinale dall'elevata valenza strategica. Da tale posizione la fortezza
domina vigile vasta parte del territorio e l'abitato sottostante.
Mancano dati certi che chiariscano l'origine dell'impianto
fortificatorio o che facciano luce sui primi episodi insediativi
nell'area.
Il
Diploma dell'imperatore Otone I del 969 nomina per la prima volta un
castrum Asili, ma non può essere accertata fin da allora la reale
presenza di una struttura difensiva in Asolo. L'ambiguità semantica del
termine castrum infatti non permette di precisare se l'espressione
castrum Asili indichi con precisione un impianto fortificatorio
dislocato in città oppure definisca l'intero borgo organizzato con
strutture difensive.
In un altro documento del 1211 si associa alla presenza di un castrum
quella di un burgus e di una villa: queste distinte definizioni di
ambiti spaziali e funzionali possono in realtà costituire la prima
prova della presenza castellare in Asolo. Nulla si sa della forma delle
primitive fabbriche poiché obliterate dai successivi restauri e
rifacimenti cui fu sottoposto il poderoso edificio.
Nel 1242 il Castello, vero fulcro sociale, economico e politico della
vita cittadina nel Medioevo, fu dimora di Ezzelino da Romano mentre dal
1339 divenne sede dei podestà veneziani e prima della fine del XIV
secolo venne inglobato nel circuito delle mura cittadine.
Nel 1489 il Castello si trasformò nella residenza della
regina-prigioniera Caterina Cornaro, allontanata dal suo regno di Cipro
dai Veneziani che le offrirono in cambio la simbolica signoria della
cittadina pedemontana e del suo territorio.
Dalla morte di Caterina Cornaro il corpo di fabbrica e la sua corte
subirono diverse modifiche e interventi di restauro (sono noti quelli
del 1695, 1796, 1816, 1830) che fecero assumere al vecchio centro civile
e amministrativo cittadino destinazioni funzionali di secondo piano nel
contesto urbano.
La grande "Aula Pretoria" o "Sala della Ragione",
dove i podestà veneziani amministravano la giustizia, venne trasformata
nel 1798, alla caduta della Serenissima, in teatro, mentre la parte
occidentale del Castello, nucleo vitale della fortezza nel Medioevo e già
dimora della Cornaro e di Ezzelino, venne demolita intorno al 1820.
Permane oggi ben visibile da ogni parte della città la maestosa torre,
già utilizzata per installazione di un mulino a vento in epoca
carrarese e poi come torre campanaria del Comune fino ai nostri giorni.
Della
conformazione originaria del Castello rimane una documentazione
planimetrica dell'ing. Ausilio Manera del 1862 basata su una "Mappa
eretta nel 1811".
La didascalia della planimetria riporta:
A) Fabbricati esistenti nel 1862.
1. Grande torre antica con iscale interne ed esterne con due Carceri ed
abitazione, sopra i vari piani l'orologio e la campana di pubblica
ragione.
2. Torrione antico con scala esterna e due Carceri sovrapposte, detto la
Reata.
3. Mura antiche di tutto il Circondario ingrossate all'interno con
arcate vuote e torrione detto il Carro (posto a valle del Portello di
Sottocastello) in parte demolito.
4. Salone di pubblico ricevimento della Regina, ora teatro sociale con
sottoposte Carceri ed abitazione.
5. Casa rustica di varie stanze e due piani.
B) Fabbricati demoliti prima del 1820.
6. Scala esterna che immetteva al salone delle pubbliche udienze.
7. Vestibolo terreno del Palazzo, con scala esterna di fronte a verone
di amena veduta.
8. Salotto che comunica con le stanze del piano nobile superiore.
9 - 10 - 11. Tre camere del piano nobile superiore.
12. Cucina in parte terrena.
13. Chiesetta sotto il titolo di S. Biagio al piano terreno.
Si osserva che le suddette stanze di abitazione erano pavimentate di
terrazzo e di pianelle, col palco di travi e tavole, e sopra eranvi
altre stanze e soffitte.
Pianterreno (della casa della regina) sottoposto alle stanze 9, 10, 11 e
parte del 12.
14. Sottoportico aperto alle due estremità.
15. Cisterna d'acqua piovana.
16. Quattro stanze di servizio a vari usi.
La parte sud occidentale del Castello, fu acquistata dal figlio di R.
Browning che vi costruì l'abitazione con la inconfondibile
"torretta".
Nel 1930 venne smantellato il teatro ottocentesco e sostituito da un
cinema/teatro.
Nel corso degli ultimi anni il complesso del Castello e della Torre
dell'orologio è oggetto di un radicale restauro che, tra l'altro,
ripristina il teatro con una forma riecheggiante la struttura primitiva.
Durante i recenti lavori di restauro sono state messe in luce, con uno
scavo di ricerca archeologica nell'angolo nord ovest del fabbricato, le
strutture di impianto originarie del Castello ora parzialmente visibili
nella "Sede delle Associazioni".
Il
Maglio quattrocentesco di Pagnano.Topografia
e Storia. La struttura ed il suo funzionamento. L'officina
del maglio, utilizzata da epoca medievale fino al 1979 per la
lavorazione del metallo, sfrutta la forza motrice fornita da una
derivazione idrica del torrente Muson che dalla sorgente fino al termine
del territorio asolano era sfruttato per attività consimili quasi senza
interruzione.
La costruzione del maglio può essere fatta risalire al XV secolo, anche
sulla base della data del 1468 incisa su una pietra angolare
dell'edificio.
La
struttura dovette essere utilizzata come sede di lavorazione del metallo
almeno fin dal 1472, quando nel primo estimo asolano vengono nominate
presenti in quest'area due ruote ad acqua, due mole, un maglio grande e
due paia di mantici.
Successivamente nel XVII secolo il complesso mutò anche la destinazione
funzionale divenendo un follo da panni e come tale venne rappresentato
in una mappa del 1655 relativa alla zona del ponte di Pagnano.
L'antica officina fabbrile tornò ad essere operante almeno dall'inizio
del XIX secolo quando viene censito, nei sommarioni del catasto
napoleonico del 1811, il fabbro Valentino Colla quale proprietario della
casa di abitazione e dell'annessa struttura. La dinastia dei Colla è
rimasta saldamente alla guida dell'officina da allora fino quasi ai
giorni nostri.
Il complesso, aperto a meridione, è formato da tre distinti corpi di
fabbrica che si saldano ad angolo retto per formare una corte ad
"U".
A ridosso del canale si trova l'officina, dotata di due ruote a pale e
di un raro esempio di tromba idroeolica di concezione leonardesca,
mentre lungo la strada che sale ad Asolo si dispongono un ambiente di
servizio e la casa di abitazione.
Il complesso, ora di proprietà della Amministrazione Comunale, è stato
oggetto di un restauro conservativo per la parte del maglio vero e
proprio, è stata ripristinata la funzionalità del canale di adduzione
ed è in fase di attuazione il restauro del rimanente corpo di fabbrica.
Il
complesso del maglio e del fabbricato attiguo verrà destinato a
laboratorio-scuola fabbrile, sede di corsi e dibattiti nonché quale
ambiente museale della lavorazione artigianale del ferro.
Il Maglio di Pagnano è visitabile. Le
Mura Il progetto di difesa del borgo
medioevale secondo l'impianto fortificatorio ancor oggi in parte
esistente, trovò completa realizzazione nel corso del XIV secolo,
quando Asolo divenne oggetto di aspre e continuate lotte tra le signorie
di Verona, Padova e la Serenissima.
Probabilmente la città era già da tempo provvista di una serie di
torri e opere difensive isolate, come per esempio sembra attestare la
menzione di una turris Butis nel 1261, ma le prime precise
attività relative alla cinta sono registrate nel 1318 quando vengono
approntati "bitifredi", "spinade", "ramade"
e soprattutto quando si procede alla costruzione di non meglio definite
"mura a secco" lungo alcuni tratti del perimetro urbano.
Decisivo per il definitivo assetto della cinta fu il dominio padovano in
Asolo tra il 1381 e il 1388. Fu allora che si iniziò a murare burgum
Asili da parte di Francesco da Carrara senza tuttavia portare a
compimento l'opera prima dell'avvento definitivo dei Veneziani. Con
decreto del Senato veneziano del 7 giugno 1393 venne ordinata la
completa fortificazione della città, considerata il simbolo stesso
della sicurezza di tutto il Pedemonte
Il circuito delle mura non si limitò a comprendere tutta l'area
fittamente insediata e il complesso del Castello,
ma fu esteso fino alla Rocca, sulla cima del Monte Ricco, che veniva così
a divenire parte fisica della cittadina e suo privilegiato punto a
valenza strategica, sia di avvistamento sia difensiva.
Il
circuito murario si estendeva per una lunghezza di 1360 metri con 24
torri disposte in punti strategici e alcune porte e portelli, non tutti
coevi, in corrispondenza delle vie di accesso e di uscita dalla città.
Le
aperture sono: il portello di Castelfranco (detto anche Loreggia, dei
Ceci, Sacchetti, Novo) non previsto nel XIV secolo ma aperto
probabilmente poco dopo la metà del XV, la porta Dieda, demolita nel
1812 per la costruzione del Foresto nuovo (detta anche di S. Gervasio,
di S. Angelo, di Borgonovello), il portello di S. Martino, oggi murato e
parzialmente visibile nel giardino di villa De Lord (esterno mura) o nel
giardino della "Casa Rossa" (interno mura), il portello del
Colmarion (detto anche della Bot, di S. Girolamo), la porta di S.
Caterina (detta anche del Foresto, di Belvedere, dello Spirito Santo) e
il portello di Sottocastello.
In età moderna e contemporanea sono crollati o sono stati demoliti
alcuni tratti al Borgonovello, nella Val Cagnana e nella valle
Bottarella.
Non esistono fino ad oggi dati di alcun genere che sostengano l'ipotesi,
più volte avanzata e sostenuta pur in assenza di qualsiasi appoggio,
dell'esistenza di un sistema di mura in epoca romana.
La
Rocca. L'evoluzione delle strutture
insediative e di difesa dal VI/VII al XV/XVI secolo
L'origine
della Rocca, costruita sulla cima del monte Ricco che sovrasta il centro
di Asolo, era fatta risalire, fino a pochi anni fa, ad epoca preromana e
romana. A questa ipotesi aveva aderito anche l'archeologo asolano
Pacifico Scomazzetto.
Nel 1984 le discipline di Archeologia delle Venezie e di Topogrtafia
dell'Italia antica, dell'Università di Padova, hanno inziato lo studio
sistematico del monumento con una campagna di scavi archeologici che
hanno proseguito fino al 1991. La campagna di studio è stata
estremamente proficua.
La prima opera dell'uomo sulla zona sommitale del monte Ricco sembra
potersi identificare in una piccola aula di culto absidata, databile
alla seconda metà del VI secolo. Il tratto di mosaico messo in luce
nella zona dell'abside è stato trasportato nel Museo. Successivamente
l'area sommitale del monte è stata utilizzata come necropoli. Ad un
periodo successivo della chiesa sono anche da attribuire delle strutture
abitative con dei semplici focolari domestici ed i resti di due
crogiuoli per la fusione dei metalli. La data di costruzione della
attuale Rocca può essere indicata, con notevole approssimazione, tra la
fine del XII secolo e l'inizio del XIII secolo. La cisterna/pozzo posta
all'interno, di foggia veneziana, è databile al XIV secolo.
Dall'iniziale possesso del Vescovo di Treviso, la Rocca passò in rapida
successione ai da Romano, al comune di Treviso dopo la metà del XIII
secolo, poi ai Veneziani con la costituzione della Podesteria nel 1339,
ai Carraresi per un breve periodo e infine nel 1388 definitivamente
nelle mani della Serenisima. La Rocca venne coinvolta nel suo ultimo
episodio bellico nel 1510 . Dagli spalti della Rocca è possibile godere
una visione a volo d'uccello ed a giro d'orizzonte: dalla pianura padana
a tutto l'arco alpino circostante. Durante le giornate limpide e con
condizioni di luce favorevole si intravvede chiaramente la laguna di
Venezia.
La
Rocca è visitabile nei giorni di sabato, domenica e festivi.
Per visite infrasettimanali di comitive contattare:
- informazioni: Ufficio di Informazione ed Assistenza Turistica (IAT)
- Tel 0423 529 046, Fax 0423 524 137, E-mail iat.asolo@provincia.tv.it
- prenotazioni: Ufficio Cultura del Comune di Asolo - Tel 0423
524 637, Fax 0423 55 745, E-mail biblio@asolo.it
Il
Teatro Romano
Gli scavi di Pacifico Scomazzetto: 1887
Gli scavi dell'Università di Padova: 1988 - 1993
Cantiere archeologico per il restauro - 1997
Scriveva,
nel 1877, Pacifico Scomazzetto:
"Un'altra base di pilastro, verso sud, venne scoperta negli avanzi
del teatro romano, dietro la cavea, di contro la pianura, verso est.
Morto il proprietario della riva ove esisteva il teatro, venne comperato
da certo Sig. Krumi, il quale distrusse tutte le vestigia, lasciando
solo il gran dado di pietra, sito fra due soglie di porte.
Esaminando
bene il dado trovai due piccoli buchi quadrangolari nella faccia
superiore, all'estremità del lato che fronteggia la cavea. Giudico che
quei buchi fossero fatti per due ferri che tenevano fissa in quel lato
una lastra di pietra, probabilmente una iscrizione. Nello sterro degli
avanzi ho trovato 14 frammenti di pietre scritte, alcune delle quali
imperiali secondo Momesen, e forse uno dei frammenti appartenevano
all'iscrizione del dado.
La proprietà del suddetto stabile, è passato ora, Luglio 87, ad un
inglese, certo Jungh.". (Manoscritto inedito, Archivio Gurekian,
Pacifico Scomazzetto - "Note sul passato di Asolo", 1992)
Di
Pacifico Scomazzetto è pure la planimeria degli scavi che è servita
alle discipline di Archeologia delle Venezie e di Topografia dell'Italia
antica dell'Istituto Universitario di Padova, sotto la guida del Prof.
Guido Rosada, ad iniziare, nel 1988, la campagna di scavi per la
riscoperta del monumento.
L'indagine è continuata negli anni successivi fino al 1993 con notevole
successo. È infatti stata riportata alla luce la quasi totalità del
monumento, per la parte ricadente sul suolo di proprietà della
Amministrazione Provinciale di Treviso.
Il Comune di Asolo, in accordo con la Provincia di Treviso, ha
approntato il progetto di restauro e valorizzazione del monumento.
I lavori che prevedono la creazione di un'area museale aperta al
pubblico avranno inizio nella primavera del 1997.
Le
Terme Romane. Pacifico Scomazzetto: Gli scavi del 1877
Nel 1877, dopo un dibattito durato molti anni, il Comune di Asolo
decideva di sacrificare un intero borgo centrale, il Borgo Alocco, per
la realizzazione di un ampio spazio per il mercato dei bovini che venne
chiamato Piazza del Mercato, nome conservato fino a qualche anno fa.
È quindi comprensibile che non ci sia stato alcun dubbio, allora, sulla
necessità di ricoprire immediatamente quanto era stato scoperto.
Le uniche informazioni documentate delle Terme Romane sono quindi quelle
che ci ha lasciato Pacifico Scomazzetto, il farmacista-archeologo di
Asolo.
Dalla data dello scavo ad oggi si sono verificate solo due occasioni di
confronto scientifico con il suo lavoro, su iniziativa dell'ingegnere
Ohannés Gurekian.
Nel 1964, nel corso della sistemazione e ripavimentazione della piazza,
è stato eseguito un sondaggio che ha portato alla luce un vano
pavimentato con mosaico bianco, bordato da due fasce nere, simile alla
descrizione dello Scomazzetto ed in posizione assai prossima alla sua
indicazione planimetrica.
Il manufatto è stato rilevato e documentato fotograficamente.
Dopo il reinterro sono state inserite delle piastrelle rosse nella
pavimentazione in porfido, tuttora visibili, ad indicare la posizione
del vano.
Nel 1965, nel corso dei lavori di allargamento di via Collegio ed
ampliamento della gradinata nell'angolo nord est della piazza, è stato
riportato alla luce il pozzo preromano.
Questo è stato inglobato nella struttura della scalinata ed è tuttora
visibile.
Questi due riferimenti non combaciano esattamente con il rilievo
planimetrico dello Scomazzetto che, come lo stesso precisa, essendo
stato eseguito a stralci e indubbiamente in fretta, probabilmente può a
sua volta contenere delle imprecisioni.
Per ottenere un posizionamento esatto, e quindi poter formulare delle
ipotesi attendibili sulla estensione del monumento per la parte non
conosciuta, sarebbe necessario eseguire qualche sondaggio mirato per
rintracciare dei riferimenti che dovrebbero essere ancora presenti visto
che, sempre a detta dello Scomazzetto, sono stati ricoperti lasciando
inalterata la leggibilità della pianta del monumento.
Il
Duomo Secondo una leggenda manoscritta del XII
secolo la chiesa cattedrale di Asolo sarebbe stata fondata da S.
Prosdocimo, vescovo di Padova, nel corso della sua evangelizzazione del
territorio veneto.
Se nessun elemento può suffragare la veridicità di questa tradizione
tarda, pare invece verosimile porre come terminus ante quem per
la costruzione del più importante edificio di culto cittadino il 590;
l'esistenza a quell'anno di un vescovado facente capo ad Asolo,
esistenza registrata in documenti ufficiali, implica infatti anche la
presenza di un complesso religioso quale fulcro dell'episcopio.
La particolare posizione topografica in seno alla città, la sua
connotazione come sede vescovile testimoniata anteriormente al 969, anno
della fine della diocesi, la titolazione a S. Maria Assunta spesso
riservata alle primitive cattedrali e anche motivi di carattere
archeologico fanno pensare che fosse precisamente l'odierna cattedrale
la primitiva sede del vescovado e la più importante chiesa cittadina.
A una datazione alta del primitivo edificio di culto nel sito attuale
sembra far pensare anche la diretta sovrapposizione tra il più antico
pavimento della chiesa (rilevato durante lavori di scavo) e articolate
strutture romane in situ.
La prima citazione esplicita del complesso si ha solo nel 969, quando
viene espressamente nominata, in connessione al castrum Asili ,
l'Ecclesia in honore Beatae Virginis Mariae constructa.
Nulla si sa delle fabbriche della chiesa almeno fino al 1200 quando
alcuni labili indizi possono far proporre una struttura notevolmente più
bassa della moderna e ad una sola navata con cappelle laterali.
Nel 1584, secondo la descrizione di una visita pastorale, la chiesa
doveva avere assunto all'incirca la struttura che ancor oggi si può
vedere, mentre una significativa risistemazione avvenne nel 1606, in
seguito ad un disastroso crollo del tetto che costrinse la comunità
asolana ad una ricostruzione della copertura su disegno del Massari,
dell'abside e dell'altare maggiore.
Altri interventi risalgono al 1747, quando la copertura a capriate
lignee venne sostituita da crociere e i pilastri in mattoni da quelli in
pietra, e al 1810 con il rifacimento completo del pavimento.
L'aspetto attuale della facciata, variamene elaborata dal Medioevo in
poi, è dovuta a un intervento portato a termine nel 1889 su progetto di
Pietro Saccardo, che giustappose il paramento visibile alla vecchia
facciata, obliterando di fatto, ma non eliminando, quest'ultima.
Fino al 1815, allorché per le disposizioni napoleoniche i morti
dovettero essere sepolti al di fuori delle città, la chiesa era
circondata sui lati sud ed ovest da un piccolo cimitero.
S.
Anna Sul luogo di un preesistente sacello
dedicato allo Spirito Santo sorse negli anni immediatamente successivi
al 1587 il convento con l'annessa chiesa di S. Anna.
Fu lo stesso Pontefice Sisto V che concesse ai Frati Cappuccini, con
bolla papale di quell'anno, di organizzare il complesso religioso sul
colle Messano. I religiosi poterono condurre vita tranquilla fino al
1769 quando per decreto della Repubblica Veneta il convento venne chiuso
e trasferito in proprietà del Comune. Dopo un periodo di utilizzo delle
fabbriche da parte di privati, nel 1804 si propose di donare l'intero
complesso ad Antonio Canova. L'idea non ebbe seguito e il convento tornò
a ricoprire funzioni secondarie di lazzaretto, di caserma e di ricovero
per i poveri.
Dopo un secolo e mezzo di alterne vicende e di semiabbandono, il vecchio
convento poté alla fine ritrovare la primitiva e più consona
destinazione con il ritorno dei Frati Cappuccini avvenuta il 14 novembre
1928; allora assunse la denominazione di S. Anna da un altare che
esisteva nella chiesa.
In seguito alle disposizioni napoleoniche che imponevano il
trasferimento dei cimiteri al di fuori dei centri urbani il
"belvedere" del convento fu utilizzato come area sepolcrale.
Da allora illustri personaggi della vita asolana vennero a riposare per
sempre in quest'eremo addormentato tra il verde silenzioso; tra essi
Pacifico Scomazzetto, Vittor Luigi Paladini, e in tempi più recenti
Manara Valgimigli, Eleonora Duse e da ultima Freya Stark.
S.
Caterina La chiesa e l'ospedale di S. Caterina
vergine d'Alessandria vennero fondati dalla confraternita di S. Maria
dei Battuti.
La consorteria religiosa, esistente in Asolo probabilmente già dal
1304, acquisì nel 1342, per lascito di eredità, un podere in contrada
Foresto, oggi di S. Caterina, con la clausola che in essa venisse
edificata "una chiesa over hospedal ad onor et reverentia di S.ta
Caterina vergine". Nel medesimo documento, con data 1346, venne
annotata anche l'avvenuta costruzione della chiesa e dell'ospedale.
L'interno della chiesa venne decorato, tra il XIV e il XV secolo, con un
primo ciclo di affreschi, oggi appena visibili, e subì nel corso del
XVI secolo un restauro abbastanza rilevante che comportò anche una
nuova decorazione pittorica interna rimasta a tutt'oggi visibile e
recentemente restaurata.
L'ospedale
continuò a funzionare fino all'inizio del corrente secolo quando venne
costruito il nuovo Ospedale Civile e l'antico edificio venne adibito a
caserma dei Carabinieri.
S.
Gottardo La chiesa lungo il Foresto vecchio, oggi conosciuta come S.
Gottardo, era un tempo parte del convento dei Padri Minori Coventuali ed
era dedicata a S. Angelo.
Le prime notizie certe sull'esistenza del complesso sacro risalgono ai
tempi di Ezzelino da Romano. Nel 1254, e con maggior certezza
documentaria nel 1264, vengono nominati per la prima volta, in un
contratto di vendita di terreni, i padri del convento, ma nessun dato o
riferimento ci aiuta a saper da quanto tempo il convento stesso
esistesse.
Significativa, ma non legata alla cronologia del monumento, è la
presenza di mosaici romani poco al di sotto del livello di calpestio
della chiesa.
Nel 1329 avvenne la consacrazione della chiesa, dotata di tre altari e
di un cimitero, per mano dell'arcivescovo di Budua Giovanni Luciani,
vicario del vescovo di Treviso.
Non si sa se la consacrazione avvenne per la costruzione di una nuova
chiesa o per un restauro di quella precedente.
Esiste
una consolidata tradizione, tuttavia non attestata da alcun documento
dell'epoca, del sepellimento nel cimitero del convento del beato Arnaldo
da Limena, tenuto prigioniero da Ezzelino nella torre Dieda dal 1246 e
assistito fino alla morte, avvenuta nel 1255, dai frati di S. Angelo.
S. Angelo divenne il più conosciuto convento di Asolo e offrì
ospitalità a numerose personalità di rilievo che soggiornavano in città
e divenendo anche scuola, dotata di ricchissima biblioteca, per i figli
delle più importanti casate asolane.
Le fabbriche del convento si disponevano a mezzogiorno della chiesa ed
erano organizzate intorno a due chiostri.
La soppressione degli ordini religiosi ordinata da Venezia nel 1769 causò
l'abbandono del convento da parte dei frati, la sua vendita al Colledani
e infine la caduta in stato di abbandono e degrado che consigliò
l'abbattimento delle fatiscenti strutture negli anni tra il 1820 e il
1830. Venne preservata, tanto nelle strutture quanto nella disposizione
planimetrica, solamente la chiesa che passò alle dipendenze della
Parrocchia di S. Maria.
Pochi anni prima della demolizione il complesso venne rilevato e
disegnato nel catasto napoleonico di inizio secolo.
SS.
Pietro e Paolo La chiesa e l'annesso monastero
benedettino femminile che sorgono presso la porta Colmarion ai piedi del
colle della Rocca erano in origine dedicati ai SS. Pietro e Paolo e
hanno assunto per un certo periodo la denominazione di S. Luigi dopo la
trasformazione del convento in Istituto scolastico e di aggregazione
giovanile. Da poco è stata ripristinata l'originaria denominazione.
La costruzione del complesso fu progettata nel 1567, ma solo con gli
inizi del XVII secolo le strutture videro definitivamente la luce. Il 31
maggio 1634 chiesa e convento vennero consacrati dal vescovo e le
monache benedettine vi presero dimora.
L'edificio
era in origine composto da quattro corpi di fabbrica organizzati intorno
ad un chiostro, con un avancorpo (la chiesa) proteso verso la strada e
la porta Colmarion.
La pur apprezzata attività educativa delle religiose e la loro presenza
in Asolo ebbe ufficialmente termine nel 1807 con la soppressione
dell'ordine religioso e con la successiva vendita dell'immobile da parte
del Demanio.
Il vecchio convento fu allora trasformato in Collegio e divenne la sede
delle Scuole Comunali e di un ginnasio mantenendo poi tale funzione, pur
tra alterne vicende, per tutto il secolo scorso e buona parte di questo
fino alla costruzione del nuovo edificio scolastico presso l'Ospedale.
L'ala orientale del chiostro venne distrutta la notte del 14 marzo del
1814 da un incendio; della parte scomparsa se ne serba tuttavia preciso
riferimento planimetrico nel rilievo catastale napoleonico risalente a
pochi anni prima. Per riparare i danni dell'incendio vennero impiegati
in larga parte i materiali ricavati dall'abbattimento dell'oratorio di
S. Salvaso lungo il Foresto vecchio.
Casa
Longobarda
È
un edificio dalla singolare foggia architettonica situato all'estremità
occidentale della contrada di S. Caterina o colmello di Messano. La
struttura non ha nessun legame con il mondo longobardo, ma è stata così
chiamata perché dalla Lombardia proveniva l'architetto Francesco
Graziolo che all'inizio del 1500 la progettò e poi la abitò. Graziolo
era giunto ad Asolo attratto dalla presenza di Caterina Cornaro di cui
presto divenne il personale architetto. Oltre alla singolare struttura
della Casa Longobarda, il Graziolo eseguì il camino di villa De Mattia
(Filippin), la vasca del fonte battesimale della Cattedrale, le formelle
della via Crucis al Monte dei Frati e varie opere un tempo esistenti
presso il Barco della Regina ad Altivole.
Ca'
Zen Nel 1490, Caterina Cornaro
donò a suo nipote N.H. Pietro Zen una parte del sobborgo di S. Gervaso
(ora Foresto Vecchio) "essendo inculta, et piena di sassi e sterpi
e burroni".
Lì,
nel 1942, fu edificata Ca' Zen sotto la guida di Pietro Lugato (lo
stesso del Barco della Regina ad Altivole) su commissione della famiglia
Zen di Venezia non solo quale residenza nell'entroterra ma anche come
residenza stabile giacché Pietro Zen era ambasciatore ed accompagnatore
ufficiale della Regina.
Rimase
residenza estiva di questa antichissima famiglia di navigatori, armatori
di imbarcazioni da guerra e governatori in Italia e fuori di provincie
Veneziane (vedi Treviso governata nel secolo XVI da Pietro Zen) fino
all'estinzione degli eredi maschi. Nella seconda metà del 1700 la sua
barchesa fu ricostruita dall'architetto Giorgio Massari.

Nella prima metà del 1900 fu residenza stabile del Conte Brisighella
Zen che l'ereditò dalla nonna e nel dopoguerra fu sede per diversi anni
di un Seminario di Padri Canossiani.
Il complesso è ora di proprietà famiglia Balbinot che, con un accurato
e radicale restauro, lo ha riportato al suo originario splendore.
Palazzo
Beltramini (Municipio) La
piazza Gabriele d'Annunzio, nota un tempo come il "Pavion" o
"Pavejon", ospita il palazzo, sede oggi dell'amministrazione
cittadina, che già era in proprietà della famiglia Beltramini.
Questi erano giunti ad Asolo dalla Valsassina verso il 1470 e intorno al
1500 sono già ricordati come possessori di una casa al Pavejon.
La stessa famiglia esercitava con profitto l'arte tessile e prestava
denaro ad usura; divenne una delle più rinomate casate asolane e giunse
a possedere diversi palazzi in città e nel territorio.
Il
palazzo in piazza d'Annunzio venne restaurato e strutturato nelle forme
attuali intorno alla prima metà del 700 dal celebre architetto Giorgio
Massari su commissione della famiglia Beltramini.
Per la decorazione architettonica della facciata inserita nello stretto
spazio della piazzetta venne adottata una particolare e ingegnosa
soluzione: le colonne monolitiche e bugnate, così come le finestre,
sono impostate con taglio prospettico per poter essere vedute non di
fronte dalla ristretta piazzetta ma dall'imbocco della via Cornaro.
Il palazzo passò successivamente ai Pasini, ai Neruda e infine al
Comune che vi trasferì la sede municipale.
Palazzo
Fietta (Serena)
Nel 1576 la famiglia Fietta acquistò tre case
e una torricella nel settore meridionale della città a ridosso delle
mura e riunì il complesso di edifici per dare corpo all'imponente
struttura del palazzo.
La
stessa famiglia asolana lo fece restaurare verso la metà del 700
dall'architetto Massari, lo stesso che nel medesimo periodo stava
lavorando per la ristrutturazione della facciata del Duomo, per il
palazzo Beltramini e per la villa Fietta a Paderno del Grappa.
In un celebre stucco che orna l'interno della dimora è raffigurata la
città in visione prospettica. L'ampio giardino esteso oltre il limite
meridionale delle mura, oggi inglobate nelle costruzioni e non più
riconoscibili, venne a far parte delle proprietà della villa solo
all'inizio dell'800. In detto parco sono conservate sepolte parti
cospicue delle strutture del teatro romano che vennero messe in luce
alla fine del secolo scorso.
VillaBarbini
Rinaldi È una delle più
significative ville della provincia, situata al centro di una vasta
tenuta, divisa tra il colle e il piano.
La fabbrica viene iniziata alla fine del Cinquecento e presenta un
impianto simmetrico, il fronte principale è concepito come
un'interrotta successione di episodi tratti dal repertorio classico.
Alcune
somiglianze con la vicina Villa Barbaro accreditano l'idea che l'edifico
possa essere stato inizialmente progettato da uno dei tanti seguaci di
Palladio, sparsi tra Cinque e Seicento, nella terraferma veneziana.
L'assetto
definitivo della villa è dovuto a uno dei proprietari, Francesco
Rinaldi; figura, abbastanza comune in quegli anni cultore dell'arte e
dell'architettura, egli trasforma e allarga l'edificio nel 1663 con
l'ambizioso proposito di farne una delle più grandi ville della
terraferma: viene cosi sopraelevato di un piano il corpo centrale e
vengono ampliate le due ali di congiungimento con i blocchi laterali,
anch'esse sottoposte all'opera di trasformazione.
Ne scaturisce un nuovo impianto prospettico, assai unico delle ville
venete del Seicento: con il suo movimento ascendente il fronte del corpo
centrale domina l'intera composizione.
Nella facciata centrale un'ingresso, poco enfatizzato
architettonicamente, e dominato dalla sovrapposizione di due trifore
balconate. Ai suoi lati la leggerezza delle logge di raccordo sottolinea
la centralità del corpo mediano dove l'attenzione dell'osservatore è
attratta dal centro della composizione e in particolare dal coronamento
del timpano, dalle insegne nobiliari e dalle statue.
Francesco prima, i suoi eredi dopo, commissionarono a pittori di scuola
veneta una serie di affreschi nelle sale interne. Andrea Celesti,
rinomato pittore della scuola del Veronese, è inizialmente chiamato a
dipingere il salone e le stanze centrali con scene prese dalla storia
sacra e dalla mitologia classica. Ricche di soluzioni illusionistiche la
"stanza dell'Olimpo" e la "stanza delle Ore"
rappresentano le migliori opere del Celesti.
Nel corso del Seicento due pittori minori, Liberi e Diziani, vengono
incaricati di affrescare le scale del corpo centrale e le logge delle
gallerie di raccordo.
La
barchessa ad ovest è formata da un corpo principale perfettamente
simmetrico, di chiara impostazione classica, caratterizzato da un
maestoso portale in pietra a vista collocato al centro della facciata
posta a levante. Fori, cornici, stipiti e marcapiani conferiscono a
questo edificio un'importanza e una dignità di poco inferiore a quella
della villa principale.
Verso sud la barchessa continua con un fabbricato che presenta aspetti
completamente diversi sia per la casualità degli elementi compositivi
che per le modifiche ed aggiunte avvenute in epoche recenti. Strano e
privo di apparenti giustificazioni risulta essere il pavimento del piano
terra e il grande solaio in legno del piano primo che presenta una forte
pendenza in senso nord-sud in contraddizione con i fori presenti sulla
facciata di levante che non seguono la linea di pendenza del solaio ma
l'andamento della cornice di gronda perfettamente orizzontale.
Completamente privo di valore è invece l'ampliamento di recente
edificazione eseguito in muratura tradizionale, solaio di copertura in
travi "varese" tavelloni e manto finale in coppi, destinato ad
attività produttiva e oggi non più in uso.
La
barchessa ad est è un fabbricato decisamente più modesto rispetto a
quello precedentemente descritto, costruito per essere in parte
destinato quale alloggio del custode e delle attrezzature necessarie al
mantenimento del complesso edilizio. Si sviluppa su due piani fuori
terra di cui uno, il primo, molto alto con la copertura a vista formata
da capriate, travi e arcarecci in legno. Di particolare pregio e la
serra posta sul lato a sud chiusa da serramenti in ferro e vetro.
La
barchessa a sud. è di una tipologia rurale tipica. Fabbricato composto
da un piano terra e un piano primo con copertura a due falde e manto
finale in coppi, destinato in parte quale residenza dell'imprenditore
agricolo e in parte presumibilmente quale ricovero attrezzi.
Un
secolo dopo la costruzione della villa padronale, vennero realizzati i
due oratori; uno privato e dedicato a san Gaetano e l'altro pubblico
dedicato a santa Eurosia. L'oratorio pubblico venne costruito a seguito
di un diluvio di pioggia torrenziale che il 14 giugno 1760 spazzò via i
muri della chiesa e atterrò il campanile.
L'oratorio, per pala d'altare, aveva una tela esagonale rappresentante
il martirio di santa Eurosia, opera pregevole del Settecento purtroppo
venduta ai primi di questo secolo.
Il
parco: diviso fra il colle ed il piano nell'uno prevalgono prati, boschi
e frutteti, nell'altro campi coltivati. Il giardino retrostante la villa
sfrutta la pendenza del terreno articolandosi in livelli differenti,
ciascuno dei quali racchiude la prospettiva entro una quinta di verde.
Uno di questi e racchiuso entro una esedra arricchita da rampicanti e da
statue. Secondo l'uso seicentesco, il giardino è poi abbellito da
grotte e da fontane.
Villa
Contarini È collocata ad
occidente del centro storico sulla cima del Colle Messano.
È
uno dei più celebri monumenti asolani ed è composto di due corpi
distinti ma intimamente collegati: il cosiddetto "Fresco",
costituito da una scenografica facciata rivolta a settentrione e ben
visibile dalla contrada di S. Caterina, e dall'edificio della villa vera
e propria sul versante meridionale del colle. Le due parti sono
collegate da una galleria che fora la cima del Messano.
Il complesso venne costruito dalla famiglia veneziana dei Surian nel
1558 e divenne di proprietà dei Contarini per passaggi di eredità;
passò poi all'inizio del 1800 nella mani di varie famiglie nobili
venete: i Bragadini, i Soranzo e i Pasqualini per essere ceduta infine
al Collegio Armeno dell'isola di San Lazzaro della laguna di Venezia e
tornare di recente in proprietà di privati.
All'epoca della costruzione della villa vanno riferiti gli affreschi con
scene bibliche opera del bresciano Lattanzio Gambara che ancora ornano
la facciata meridionale. VillaLoredan
Trentinaglia già Razzolini Situata a
sud di Asolo nell'antica "Contra di Biordo" la villa, voluta
come casa di villeggiatura, sorge al centro di un possedimento,
inizialmente proprietà dei Razzolini, circondato in ogni lato da
strade.
La
fabbrica di impianto seicentesco, aveva una struttura semplice e
squadrata, con orientamento canonico nord-sud e copertura a due falde.
Nel 1716 appare nel Catasto Veneto, comune di Asolo ed a partire dal
1748 il nobile Onorio Razzolini ne inizia la rifabbrica della residenza
suburbana di famiglia.
Alla morte del nobile Onorio Razzolini avvenuta nel 1769 succede la
figlia Elisabetta, sposa nel 1782 di Antonio Loredan, che si insedia
stabilmente nella villa ed è nel 1790 (circa), probabilmente con
l'arrivo dei Loredan, che l'edificio assume il suo assetto definitivo
mediante l'eliminazione della scalea esterna a due rampe.
La dimora rimarrà dei Loredan per centoventicinque anni fino al 25
settembre 1907 quando la villa viene ceduta al conte Oliviero Rinaldi
proprietario della vicina omonima villa Rinaldi-Barbini. Nello stesso
anno la figlia adottiva Ines sposata con il nobile Carlo Trentinaglia,
si trasferisce nella villa che alla morte del padre, avvenuta nel 1928,
diventa di sua proprietà. Con l'avvento dei Rinaldi-Trentinaglia, nel
1907 circa, viene realizzato l'affresco che decora il soffitto del
salone passante della villa, ad opera del pittore Noé Bordignon. Negli
anni 1928-29 viene inoltre realizzata la nuova cancellata di ferro
battuto e, sempre nello stesso periodo, vengono eliminate le due alette
settentrionali che univano l'oratorio e la barchessa al corpo della
villa e aperte nuove finestre nelle ali dell'edificio.
Tratto
da "Atlante Storico delle Città Italiane - Asolo"
a cura di Guido Rosada
diretto da Francesca Bocchi
© 1993
Grafis Edizioni
Via 2 giugno, 4 - 40033 Casalecchio di Reno (BO)
Valentino
Ivano Sebellin
POSSAGNO
L’imponente
Tempio neoclassico che sovrasta il panorama delle colline attorno a
Possagno lega la cittadina al nome del suo figlio più illustre, Antonio
Canova, che lo progettò come chiesa per il suo paese. Nel Tempio, che
custodisce la tomba dell’artista, sono collocate alcune sue opere:
l’autoritratto in marmo, le Metope e la Pala dedicata alla
Deposizione. Un ampio viale collega il Tempio alla Gipsoteca e alla casa
del grande scultore.
Le
origini di Possagno risalgono ai tempi remoti: in località
Steggio sono state ritrovate tracce di vita che risalgono al
quaternario, con reperti paleontologici molto interessanti (nel
2001, è inaugurato un museo, presso il Centro Sociale, che
presenta gli scavi di Steggio, soprattutto agli Studenti); altri reperti
fanno pensare a passaggi di popolazioni neo-eneolotiche e
paleovenete in tutta la Valcavasia; è probabile la presenza a Possagno
di un castrum romanum e di un castelar medievale.
Le prime attestazioni del nome Possagno risalgono al 1076 d.C.,
quando dominava nella nostra terra la famiglia dei Rover, di
origine germanica. Nel 1388, dopo il breve periodo della signoria del
tiranno Ezzelino, Possagno, con tutto l’Asolano, passò sotto
la Dominazione della Serenissima Repubblica di Venezia, fino alla
sua caduta, nel 1797.
Possagno
diventò famoso in tutto il mondo per aver dato i natali, nel 1757, ad
Antonio Canova: la sua opera di scultore e di architetto ha
completamente cambiato in questi ultimi due secoli l’aspetto
urbanistico e gli assi stradali del paese: il Tempio, la Gipsoteca e la
Casa del Canova hanno spostato a oriente il baricentro di Possagno e lo
hanno reso una delle principali attrattive turistiche di tutto il
Veneto.

A
Possagno tutto ruota attorno all'arte di Canova e quindi ai suoi
pregevoli lasciti. Il Museo Canoviano di Possagno è nato tra il 1832 e
il 1836, quando le opere di Antonio Canova (le sculture in gesso, in
terra, in cera e in marmo, le tempere, gli oli su tela, ecc) furono
trasportate dallo Studio di Roma a Possagno ed ospitate nella grande
Gipsoteca che l'architetto Francesco Lazzari aveva appena
terminato di costruire nel giardino di Casa Canova. Provate ad
immaginare il lungo convoglio di carri e di navi, cariche di gessi,
marmi e dipinti, che mossero da Roma e arrivarono nel piccolo abitato di
Possagno: fu un'avventura che, per l'epoca, per i mezzi di trasporto e
per le vie di comunicazione, ebbe dell'incredibile! Regista di questa
poderosa operazione museale fu il vescovo Giovanni Battista Sartori
(1775-1858), fratellastro di Antonio Canova e suo erede universale. Per
custodire e conservare gli stabili e le opere del Museo canoviano, il
Sartori nominò un conservatore-custode del Museo (il primo fu lo
scultore possagnese Tonin Pasino, cui seguirono Stefano Serafin, Siro
Serafin e Settimo Manera: tutti costoro abitarono in una parte della
Casa del Canova); nel 1853, Sartori volle costituire il Lascito
Fondazione Canova, l'Ente che ancora oggi gestisce e conserva tutti i
beni artistici lasciati dal Sartori in eredità alla Comunità di
Possagno.
LA
GIPSOTECA CANOVIANA E LA CASA DEL CANOVA
Il
processo creativo impiegato dal Canova per la realizzazione di una
scultura era straordinario e si componeva di quattro fasi.
Il disegno era la prima fase in cui il maestro trasferiva i propri
"pensieri " sulla carta:ad essi attribuiva un importanza
fondamentale equiparando la matita allo scalpello.
Attraverso la pratica del disegno , che si sviluppava nelle diverse
tematiche della sua arte,dalle accademie di nudo virile e femminile,alle
accademie di panneggio allo studio dell'antico,agli altri studi
tematici,il Canova pone le basi della sua arte scultorea...