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ITINERARIO
DELLE VILLE VENETE
Villa
Angarano a Bassano del Grappa
Della
villa che Palladio progettò per il suo grande amico Giacomo Angarano
nei dintorni di Bassano del Grappa esiste ben poco: solamente due
barchesse che affiancano un corpo padronale dall’aspetto chiaramente
seicentesco. La tavola dei Quattro Libri (II, p. 63) ci restituisce la
planimetria del complesso nelle intenzioni dell’architetto: due
barchesse piegate a “U” che serrano un corpo padronale fortemente
sporgente. Dai documenti sappiamo che sul sito preesisteva un edificio
abitato da Giacomo: probabilmente fu per questo che si iniziarono i
lavori dalle barchesse, lavori che si arrestarono prima di coinvolgere
la ristrutturazione dell’antica casa, attuata in seguito, non certo
secondo il progetto palladiano. In realtà non è sicura nemmeno la data
di progettazione della villa. Tradizionalmente viene fatta risalire alla
fine degli anni ’40, con solide argomentazioni, ma è possibile che
sia invece connessa all’improvvisa eredità del fratello Marcantonio
che Giacomo ottiene nel 1554, anche considerando che due anni più tardi
questi acquisirà importanti cariche pubbliche a Vicenza. Angarano è un
appassionato di architettura e stretto amico di Palladio, il quale nel
1570 gli dedica la prima metà dei Quattro Libri. Purtroppo, 18 anni più
tardi Giacomo è costretto a restituire alla famiglia di sua nuora,
rimasta vedova, l’intera dote, e ciò provoca un collasso finanziario
che lo costringe a vendere la villa al patrizio veneziano Giovanni
Formenti.
Bassano
del Grappa - (1548)
Villa
Barbaro a Maser
All’inizio
degli anni ’50, la realizzazione della villa per i fratelli Barbaro a
Maser costituisce per Palladio un punto di arrivo importante nella
definizione della nuova tipologia di edificio di campagna. Per la prima
volta infatti (anche se la soluzione ha precedenti in ville
quattrocentesche) la casa dominicale e le barchesse sono allineate in
un’unità architettonica compatta. A Maser ciò probabilmente è da
collegarsi alla particolare localizzazione della villa sulle pendici di
un colle: la disposizione in linea garantiva una migliore visibilità
dalla strada sottostante, e del resto l’orografia del terreno avrebbe
imposto costosi terrazzamenti a barchesse disposte secondo l’andamento
del declivio. Se è vero che per molti versi la villa mostra marcate
differenze rispetto alle altre realizzazioni palladiane, ciò è senza
dubbio frutto dell’interazione fra l’architetto e una committenza
d’eccezione. Daniele Barbaro è un uomo raffinato, profondo studioso
d’architettura antica e mentore di Palladio dopo la morte di Trissino
nel 1550: sono insieme a Roma nel 1554 per completare la preparazione
della prima traduzione ed edizione critica del trattato di Vitruvio,
curata da Barbaro e illustrata da Palladio, che vedrà le stampe a
Venezia nel 1556. Marcantonio Barbaro, energico politico e
amministratore, ha un ruolo chiave in molte scelte architettoniche della
Repubblica e col fratello Daniele è instancabile promotore
dell’inserimento di Palladio nell’ambiente veneziano. Intendente
d’architettura egli stesso, riceve un esplicito omaggio da Palladio
nei Quattro Libri per l’ideazione di una scala ovata. Nella
costruzione della villa Palladio interviene con abilità, riuscendo a
trasformare una casa preesistente agganciandola alle barchesse
rettilinee e scavando sulla parete del colle un ninfeo con una peschiera
dalla quale, grazie a un sofisticato sistema idraulico, l’acqua viene
trasportata negli ambienti di servizio e quindi raggiunge giardini e
brolo. Nella didascalia della pagina dei Quattro Libri che riguarda la
villa, Palladio mette in evidenza proprio questo exploit tecnologico che
si richiama all’idraulica romana antica. È evidente che, piuttosto
che le venete ville-fattoria, il modello di villa Barbaro sono le grandi
residenze romane, come villa Giulia o quella che Pirro Ligorio
realizzava a Tivoli per il cardinale Ippolito d’Este (al quale per
altro Barbaro dedica il Vitruvio). All’interno della villa Paolo
Veronese realizza quello che è considerato uno dei più straordinari
cicli di affreschi del Cinquecento veneto. La forza e la qualità dello
spazio illusionistico che si sovrappone a quello palladiano hanno fatto
pensare a una sorta di conflitto fra pittore e architetto, tanto più
che Veronese non viene citato nella didascalia della tavola dei Quattro
Libri dedicata alla villa. Del resto, evidentemente influenzato (e
probabilmente intimorito) dal gusto e dalla personalità dei Barbaro, è
molto probabile che Palladio si sia ritagliato per sé un ruolo tecnico
e di coordinamento generale, lasciando ai committenti — se non,
secondo alcuni, allo stesso Veronese — largo spazio per
l’invenzione: lo prova il fantasioso disegno della facciata che
difficilmente può essergli attribuito.
Maser
- (1554)
Tempietto
di Villa Barbaro a Maser
Ai
piedi del declivio su cui sorge villa Barbaro, Palladio realizza un
raffinato tempietto destinato ad assolvere la doppia funzione di
cappella di villa e chiesa parrocchiale per il Borgo di Maser. Non si
conosce con certezza la data di inizio dei lavori di costruzione. Nel
fregio sono incisi il millesimo 1580, i nomi del patrono, Marcantonio
Barbaro, e di Palladio. Insieme al Teatro Olimpico il tempietto è
l’ultima opera di Palladio, che la tradizione vuole morto proprio a
Maser. I modelli di riferimento dell’edificio sono evidentemente il
Pantheon, ma anche la ricostruzione offerta dallo stesso Palladio del
tempio di Romolo sulla via Appia. Al tempo stesso è possibile che sul
tempietto convergano le riflessioni palladiane per la soluzione a pianta
centrale del progetto per il Redentore, poi abbandonata a favore della
variante longitudinale, ma che proprio Marcantonio Barbaro aveva
sostenuto in prima persona. La planimetria dell’edificio è innovativa
perché combina insieme un cilindro e una croce greca. Quattro massicci
pilastri servono a contraffortare la cupola, che è ispirata
espressamente a quella del Pantheon e quindi “all’antica”, a
differenza di quelle di San Giorgio e del Redentore. Molti studiosi
stentano a riferire a Palladio la ricca decorazione a stucco
dell’interno, che tuttavia è molto simile a quella presente
all’interno e all’esterno dei palazzi palladiani degli anni ’70.
Maser
- (1580)
Villa Emo a Fanzolo
La
villa palladiana quale esito di una nuova tipologia, dove le necessità
pratiche della vita agricola sono tradotte in forme inedite e in un
linguaggio nuovo ispirato all’architettura antica, ha senza dubbio un
punto di approdo definitivo in villa Emo. Gli edifici funzionali alla
conduzione delle campagne, che nella villa quattrocentesca sono
casualmente disposti intorno all’aia, in villa Emo raggiungono una
sintesi architettonica mai vista prima, che riunisce in un’unità
lineare casa dominicale, barchesse e colombare. La datazione della
fabbrica è controversa, ma dovrebbe fissarsi al 1558, dopo le ville
Barbaro e Badoer, con le quali condivide l’impostazione generale.
Ormai accettato dalle grandi famiglie aristocratiche veneziane, Palladio
costruisce la villa per Leonardo Emo, la cui famiglia possedeva proprietà
a Fanzolo dalla metïà del Quattrocento. La zona era attraversata
dall’antica via Postumia, e la trama dei campi seguiva la griglia
della centuriazione romana. La villa è orientata secondo tale trama
antica, come si può ben cogliere dagli ingressi all’edificio,
allineati in una lunghissima prospettiva. La composizione del complesso
è gerarchica, dominata dall’emergenza della casa del padrone,
innalzata su un basamento e collegata al suolo da una lunga rampa di
pietra; ai fianchi due ali rettilinee e simmetriche di barchesse sono
concluse da altrettante torri colombare. Il purismo del disegno è
sorprendente quanto calibrato: basti guardare come le colonne estreme
della loggia sono assorbite dal muro per 1/4 del loro diametro e
graduano il passaggio dalla cavità in ombra alle pareti in piena luce.
L’ordine scelto è il dorico, il più semplice, e persino le finestre
sono prive di cornici. Alla logica stereometrica degli esterni
corrisponde una decorazione interna straordinaria, opera di Battista
Zelotti, che era già intervenuto nei cantieri palladiani di villa Godi
e della Malcontenta.
Fanzolo
di Vedelago - (1558)
Villa
Contarini a Piazzola sul Brenta
La
magniloquente apparenza barocca con cui si presenta oggi villa Contarini
è con buona probabilità il risultato della trasformazione seicentesca
di una villa realizzata da Andrea Palladio negli anni ’40 per Paolo
Contarini e i suoi fratelli. Dell’opera palladiana restano tracce in
mappe e documenti d’archivio, anche se poco è ancora visibile
nell’edificio trasformato a piùriprese a partire dal 1662. Nel 1676
si procedette all’ampliamento e trasformazione dell’ala destra, con
doppio ordine di colonne rustiche e telamoni, e una fastosa decorazione
scultorea che invase anche il corpo principale della villa. Una mappa
del 1788 documenta che a quella data esisteva già l’emiciclo di
portici che delimita la grande piazza.
Piazzola
sul Brenta - (1546 c.)
La
Rotonda (Villa Almerico) a vicenza
Icona
universale delle ville palladiane, la Rotonda in realtà è considerata
dal suo proprietario come una residenza urbana o, più propriamente,
suburbana. Paolo Almerico vende infatti il proprio palazzo in città per
trasferirsi appena fuori le mura e lo stesso Palladio, nei Quattro
Libri, pubblica la Rotonda fra i palazzi e non già fra le ville. Del
resto è isolata sulla cima di un piccolo colle e in origine era priva
di annessi agricoli. Il canonico Paolo Almerico, per il quale Palladio
progetta la villa nel 1566, è uomo di alterne fortune, rientrato infine
a Vicenza dopo una brillante carriera alla corte papale. La villa è già
abitabile nel 1569, ma ancora incompleta, e nel 1591, due anni dopo la
morte di Almerico, viene ceduta ai fratelli Odorico e Mario Capra che
portano a termine il cantiere. Subentrato a Palladio dopo il 1580,
Scamozzi in sostanza completa il progetto con interferenze che studi
recenti tendono a considerare molto limitate. Non certo villa-fattoria,
la Rotonda è piuttosto una villa-tempio, un’astrazione, specchio di
un ordine e di un’armonia superiori. Orientata con gli spigoli verso i
quattro punti cardinali, vuole essere letta innanzitutto come un volume,
cubo e sfera, quasi si richiamasse alle figure base dell’universo
platonico. Certo le fonti per un edificio residenziale a pianta centrale
sono diverse, dai progetti di Francesco di Giorgio ispirati a villa
Adriana o dallo “studio di Varrone”, alla casa di Mantegna a Mantova
(o la sua “Camera degli sposi” in palazzo Ducale), sino al progetto
di Raffaello per villa Madama. Sta di fatto che la Rotonda resta un
unicum nell’architettura di ogni tempo come se, costruendo una villa
perfettamente corrispondente a se stessa, Palladio avesse voluto
costruire un modello ideale della propria architettura. La decorazione
dell’edificio è sontuosa, con interventi di Lorenzo Rubini e
Giambattista Albanese (statue), Agostino Rubini, Ottavio Ridolfi, Bascapè,
Fontana e forse Alessandro Vittoria (decorazione plastica di soffitti e
camini), Anselmo Canera, Bernardino India, Alessandro Maganza e più
tardi Ludovico Dorigny (apparati pittorici).
Vicenza
- (1566)
Villa
Godi Malinverni a Lugo Vicentino
Il
progetto palladiano di una villa per i fratelli Girolamo, Pietro e
Marcantonio Godi a Lonedo iniziò nel 1537 per concludersi nel 1542. Con
ogni probabilità non si trattò di un incarico autonomo, ma piuttosto
di una commissione ottenuta dalla bottega di Gerolamo Pittoni e Giacomo
da Porlezza, all’interno della quale il giovane Andrea rivestiva il
ruolo di specialista per l’architettura. In realtà i lavori di
ristrutturazione della tenuta di famiglia cominciarono già nel 1533,
per volontà del padre Enrico Antonio Godi, con la costruzione di una
barchessa dorica nel cortile di sinistra. Prima opera certa di Andrea,
che ne dichiara la paternità nei Quattro Libri, villa Godi segna la
tappa iniziale del tentativo di costruire una nuova tipologia di
residenza in campagna, dove è evidente la volontà di intrecciare temi
derivanti dalla tradizione costruttiva locale con le nuove conoscenze
che Palladio stava via via acquisendo grazie all’aiuto del Trissino.
L’esito è quello di un edificio severo, in cui è bandito ogni
preziosismo decorativo tipico della tradizione quattrocentesca.
Chiaramente simmetrico, l’edificio è impostato su una netta
definizione dei volumi, ottenuta arretrando la parte centrale della
facciata, aperta da tre arcate in una loggia. La stessa forte simmetria
organizza la planimetria dell’edificio, impostata lungo l’asse
centrale costituito da loggia e salone, al quale si affiancano
gerarchicamente due appartamenti di quattro sale ciascuno. A partire
dalla fine degli anni ’40 ha inizio la campagna decorativa degli
interni, dovuta in un primo momento a Gualtiero Padovano, che affresca
la loggia e l’ala destra dell’edificio, e successivamente (primi
anni ’60) a Battista Zelotti, che interviene nel salone e nelle sale
dell’ala sinistra, e a Battista del Moro, cui si deve l’ultima
stanza antistante la loggia. Contemporaneamente alla campagna
decorativa, Palladio interviene nuovamente sul corpo dell’edificio,
modificando l’apertura posteriore del salone e realizzando il giardino
retrostante a emiciclo e la splendida vera da pozzo.
Lonedo
di Lugo Vicentino - (1537)
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