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IL MONTE GRAPPA E LA GRANDE GUERRA

 

Il periodo dicembre 1917-giugno 1918 vide la ricostruzione dei nostro esercito dopo la disfatta di Caporetto. Pur rimanendo sulla difensiva, vennero effettuate delle azioni militari per migliorare la linea del fronte (conquistati il Monte Corno di Vallarsa e il monte Zigolan nell'Adamello, ridotta la testa di ponte austroungarica a Capo Sile sul Piave).
A Cadorna era successo, quale comandante supremo dell'esercito, il generale Armando Diaz. Di questi, il colonnello Gatti, storico dei comando supremo, scrisse nel suo diario: "L'intelligenza pacata e l'animo umano condussero il Diaz prima di tutto ad assicurare al soldato che soltanto nella necessità assoluta sarebbe stato adoperato. Diaz risparmiò più che poté l'esercito, almeno fino a quando il nemico glielo permise, e non prese l'iniziativa degli attacchi se non proprio quando l'offesa fu necessaria. Infuse così nei dipendente un senso di calma che originò un rafforzamento di spiriti e di corpi. "
Diaz propiziò una grande opera di riorganizzazione tecnica e logistica per ricostituire le risorse materiali di cui aveva bisogno un esercito moderno di così grandi dimensioni (durante la guerra furono mobilitati quasi sei milioni di uomini). Ma soprattutto apportò miglioramento alle condizioni di vita delle truppe in linea, in particolare: riduzione dei tempo di permanenza in trincea; turni di riposo e di licenza più regolari; miglioramento dei vitto: la razione giornaliera fu portata gradualmente a 3600 calorie, comprensive di 750 grammi di pane e 250 grammi di carne (cominciavano ad arrivare grandi aiuti dagli americani); polizza di assicurazione gratuita e sussidi alle famiglie dei combattenti.
L'impero austroungarico nel 1918 si stava invece sfaldando: le nazioni che lo componevano cominciavano a mostrare segni di rivolta verso la monarchia danubiana, la carestia di viveri e di materie prime imperversava, soprattutto nelle grandi città, e i soldati erano esausti e quasi alla fame dopo quattro anni di guerra.
Per farsi un'idea, nell'aprile 1918 un soldato riceveva una razione giornaliera di farina di 280 grammi per i reparti in linea e di 180 per le retrovie; la razione di carne era di 200 grammi la settimana per i combattenti e di soli 100 grammi per i complementi.
La grande industria bellica austriaca, assottigliandosi i rifornimenti di carbone e di ferro, non consegnava armi e munizioni in quantitativi sufficienti al proseguimento della guerra: l'industria consegnò nel 1916 1.400.000 colpi di artiglieria al mese, nel 1917 1.290.000 e nei primi mesi dei 1918 750.000 colpi; Germania, Ungheria e Romania non riuscivano più a sostenere lo sforzo bellico dei grande impero!
Il comandante in capo dell'esercito austriaco, generale Conrad Von Hotzendorf, tentò tra maggio e giugno 1916 di portare l'attacco risolutivo (la "Strafexpedition") scendendo dal Trentino lungo l'Adige per prendere alle spalle il grosso dell'esercito italiano, schierato sull'Isonzo; ma l'offensiva fece la stessa fine degli assalti di Cadorna sul Carso: Conrad guadagnò qualche chilometro sull'Altopiano dei Sette Comuni, ma non riuscì a sfondare.
Il feldmaresciallo Boroevie, già comandante della 5^ armata austroungarica sull'Isonzo, era invece convinto di ottenere il successo decisivo con un'azione svolta lungo la direttrice Oderzo-Treviso-Padova fino all'Adige.
Il comando supremo cercò di non scontentare i due grandi generali e così il 15 giugno 1918 gli Imperi Centrali diedero il via a quella che fu chiamata la "Battaglia dei Solstizio" (altri la chiamarono "offensiva della fame"), su un fronte di 130 chilometri dall'Astico al Mare.
Anche se le condizioni meteorologiche erano sfavorevoli e il Piave in piena per le abbondanti piogge, i soldati malridotti e denutriti e l'esercito non ancora preparato, gli Imperi tentarono di risolvere la guerra prima dei temuto massiccio intervento degli Stati Uniti d'America, che ormai era prossimo.

Durante l'offensiva sul Grappa, gli austroungarici, scendendo dal Monte Asolone con fulrninea azione, superarono la linea Alba, la linea Bianca e la linea Clelia, occuparono Coi Fenilon, Col Fagheron e Col Raniero. L'avanzata fu favorita dalla fitta nebbia di quella mattina, ma, quando a mezzogiorno la visibilità tornò normale, gli attaccanti furono prontamente battuti dalle artiglierie italiane dei Grappa. L'offensiva dei gen. Conrad fu poi contrastata dai nostri soldati e in particolare dagli arditi dei maggiore Giovanni Messe che, con tempismo, determinazione e aiutati da un preciso fuoco di artiglieria, tra il 15 e il 16 giugno 1918 sferrarono ben tre assalti vittoriosi in poco più di diciotto ore e riuscirono a riconquistare tutta la linea da Col Fagheron a Col Fenilon e Col Moschin.
Gli austroungarici subirono forti perdite che non riuscirono a rimpiazzare per mancanza di uomini e, soprattutto, di mezzi, per cui l'offensiva fallì. Anche negli altri settori dei Grappa l'esercito dei gen. Giardino fermò l'offensiva; l'esercito degli imperi centrali a caro prezzo conquistò solo il crinale dei Solaroli davanti a Coi dell'Orso.
La vittoria conseguita nella Battaglia dei Solstizio consolidò e fortificò lo spirito e la struttura dei nostro esercito, riscattò dal punto di vista emotivo e sociale la bruciante sconfitta di Caporetto e ridiede credito all'Italia di fronte agli alleati.
Sul Grappa, nei giorni 15, 16 e 17 giugno 1918, la IV^ armata ebbe quasi 14.000 uomini fuori combattimento, mentre i corpi d'armata XXVI° e I° dell'Xi^ armata austroungarica ne ebbero quasi 19.000.
Nel settembre 1918 il governo italiano avvertì l'esigenza di premere sul Comando Supremo per lanciare un'offensiva per non farsi trovare alla fine della guerra, di cui oramai si intravedeva la conclusione, con il Veneto ancora occupato e quindi con imprevedibili conseguenze al tavolo della futura conferenza di pace. Il 21 ottobre 1918 il comando supremo diramò ai comandi d'armata gli obiettivi dell'ímminente operazione con questo ordine dei giorno: "Con azione partente dalla regione del Grappa, separare la massa austriaca del Trentino da quella del Píave, con azione immediatamente successiva, partente dal medio Piave, sfondare il gruppo austriaco della pianura (le truppe del maresciallo Boroevíc) nel punto di giunzione delle Armate componenti quel gruppo, incunearsi tra esse e tagliare le comunicazioni austriache con la conca di Belluno e il Cadore ".
Il 24 ottobre 1918, un anno dopo Caporetto, alle tre dei mattino le artiglierie italiane iniziarono a sparare. Il fuoco venne concentrato nelle zona dei Grappa per attirare le riserve austriache stazionanti a Feltre e a Belluno al fine di favorire lo sfondamento della linea dei Piave. Il forzamento dei Piave andò molto a rilento a causa delle abbondanti piogge che avevano gonfiato il fiume. Così l'azione sul Grappa, che nei piani dei Comando supremo doveva essere di fiancheggiamento, finì per essere, nei primi giorni dell'offensiva, l'unico centro di lotta.
Da questa trincea, alle sette dei 24 ottobre, fanti e alpini andarono all'assalto dei Monte Asolone e dei Monte Pertica. Gli austroungarici erano ben trincerati su posizioni sovrastanti, per cui gli assalti dei nostri soldati si trasformarono in veri massacri: il Comando Supremo italiano non aveva imparato la lezione dei Carso: ripeté cosi gli stessi errori (vedi l'attacco frontale), ma qui corse un gravissimo pericolo perché l'esercito italiano non aveva risorse per alimentare l'offensiva (molti soldati erano colpiti dal virus della "Spagnola").
Con fatica il generale Caviglia la sera dei 26 ottobre riuscì a passare il Piave e mise in movimento le sue truppe risalendo il fiume in direzione di Susegana per prendere alle spalle il nemica che, nella zona di Sernaglia, bloccava il passaggio dei Piave alla nostra VIII^ armata. La manovra riuscì nel suo intento: spezzò il fronte austriaco e permise ai nostri soldati il 30 ottobre di dilagare nella pianura veneta giungendo a Vittorio Veneto.
L'esercito austroungarico, quando capi di correre il rischio di essere accerchiato, desistette dal combattere, abbandonò le posizioni sul Grappa, si dissolse, cercò di sparire e di scappare. La crisi dei grande impero danubiano si ripercosse in maniera violenta sul fronte. Ma l'esercito aveva resistito fino all'ultimo. Il 3 novembre 1918 fu firmato l'arrnistizio fa Italia e Austria-Ungheria a Villa Giusti presso Padova, che però sarebbe entrato in vigore 24 ore dopo, per dar modo ai reparti italiani di giungere a Trento e Trieste.
Il collasso e la fine dell'impero Austroungarico si consumò il 18 novembre 1918. Quest'ultima battaglia aveva costato agli italiani 37.000 uomini fuori combattimento. Le nove divisioni della IV^ armata dei Grappa pagarono con il sangue due terzi delle perdite totali: ben 25.000 uomini fuori combattimento. Si pensi che alcuni reparti, come i quattro battaglioni dei VII° raggruppamento alpini, ebbero in quei giorni oltre 3.000 uomini fuori combattimento, una proporzione mai raggiunta neppure sul Carso. Purtroppo anche Diaz aveva sottovalutato gli eventi e la resistenza degli austroungarici e, privo di schemi tattici per l'occorrenza, incappò negli stessi errori di Cadorna.
Cosi terminò la Grande Guerra, evento che vide enormi eserciti confrontarsi al limite della sopravvivenza in una linea di trincee lunga oltre quattromila chilometri.
I soldati si scontrarono con le condizioni dettate da una nuova guerra, che, per la prima volta, faceva uso di armamenti moderni. Gli ufficiali erano uomini dell'Ottocento, non conoscevano gli strumenti di morte che le nuove tecnologie avevano prodotto, erano sordi a qualsiasi cambiamento e nella loro strategia altro non sapevano fare se non lanciare gli eserciti in una guerra di logoramento con altissime perdite umane ed economiche. Gli eserciti erano carenti di organizzazione, di coordinamento e di preparazione, e motti avvenimenti della guerra furono il frutto dei caso e dell'improvvisazione più che degli ordini dei Comandi Supremi.
Lasciamo all'interesse di ognuno l'approfondimento e la rivisitazione degli avvenimenti di questo conflitto e delle conseguenze che da essi derivarono per la storia di questo secolo. Ma, prima di concludere la descrizione di questo stralcio di storia, vorremmo portare il lettore a riflettere su queste parole di Giovanni Spadolini: "Dobbiamo saper leggere, e tornare a leggere, í moniti che ci vengono dai nostri caduti, perché il loro sacrificio ci impone di lavorare attorno all'ideale di un'organizzazione istituzionale di pace. Perché c'è nel loro sacrificio il senso della nazione.