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ALBERTO
PAROLINI
Nato
nel 1788 a Bassano, sin dall’età giovanile dimostrò spiccate
attitudini e decisi interessi per il mondo della natura, passione del
resto non nuova in famiglia. Le opportunità offerte dal cospicuo
patrimonio fondiario e l’inclinazione per la botanica manifestatasi già
nel padre e ancor prima nel nonno e nello zio, gastaldi delle monache
benedettine di San Girolamo in "Borgo del Lion", costituiscono
gli ingredienti iniziali del ricco itinerario culturale lungo il quale
si snoda la vita di Alberto Parolini, a cominciare dalla più giovane età.
A questi elementi si aggiunsero certo altri fattori importanti, come la
vicinanza e la guida di Giambattista Brocchi che aveva entusiasmato il
futuro naturalista di appena otto anni con la pubblicazione, avvenuta
nel 1796, di un libretto intitolato "Trattato delle piante
odorifere e di bella vista da coltivarsi ne’ Giardini". Orfano di
madre a soli quattro anni, studiò dapprima presso il Seminario di
Padova per passare poi agli studi universitari nella stessa città e,
successivamente, a Pavia.
La famiglia, conosciuta come Parolin, proveniva da Rosà dove se ne
trova traccia a partire dal XVI secolo e solo in seguito
all’ammissione di Francesco, il padre del futuro naturalista, in seno
al Consiglio cittadino acquistò titolo nobiliare e proprio con Alberto
il cognome diventò Parolini. Lo stemma della famiglia, rappresentato da
un paiolo sormontato da una colomba che ha nel becco un ramoscello, sta
forse a testimoniare il mestiere di costruttori di paioli, essendo
"parolo" il termine dialettale da cui il nome ha origine.
E’ certo, comunque, che fu grazie al commercio di olio e sale, alla
partecipazione ad imprese commerciali e agli oculati investimenti
immobiliari, che i Parolin accumularono capitali tanto ingenti da
inserirsi tra le più antiche famiglie bassanesi, rispetto alle quali
potevano in genere contare su un ben maggiore potere economico.
Alla morte del padre Francesco, avvenuta nel 1815, Alberto si trovò ad
ereditare una vera fortuna in denaro, terreni e proprietà immobiliari.
Allo stesso anno è databile l’incontro a Venezia con Filippo Barker
Webb, un naturalista inglese al quale fu legato da un’amicizia
fraterna per l’intera vita. Negli anni immediatamente successivi ebbe
inizio una serie di viaggi a scopo scientifico per l’intera Europa,
con soggiorni a Londra e a Parigi città in cui poté stringere legami
con i maggiori centri della cultura scientifica internazionale, tanto da
risultare uno dei soci fondatori della Società geologica di Londra.
Il viaggio più esaltante dovette essere quello intrapreso nel 1819 con
l’amico Webb attraverso la Grecia e l’Asia Minore, viaggio dal
fascino indicibile per un uomo che alle conoscenze scientifiche univa il
gusto e la curiosità nati dalla frequentazione dei testi di Omero cui
gli studi universitari patavini riservavano un’attenzione particolare.
Fu proprio da questo viaggio che riportò le pigne da cui sarebbe nato
il pino che porta il suo nome, il Pinus parolinii.
Se l’interesse per la botanica era sbocciato fin da giovanissimo, solo
negli anni successivi al viaggio in Inghilterra del 1817 vanno datati i
primi interventi nel giardino all'italiana che il padre aveva costruito
e di cui è testimonianza il rilievo mappale fatto da lui stendere poco
prima della morte. L’intervento, attuato secondo il gusto romantico
dell’epoca che ha i suoi alfieri in Ippolito Pindemonte (Sui giardini
inglesi e sul merito in ciò dell’Italia), in Cesarotti, in De Visiani
(Delle Benemerenze de’ Veneti nella Botanica) inserisce a pieno titolo
Alberto Parolini nella temperie culturale del momento e nel dibattito
letterario-filosofico relativo alla tematica dei giardini e, per
Bassano, ne fa il precursore del giardino romantico, all’inglese.
Al miglioramento del giardino lavorò instancabilmente, arricchendolo di
specie arboree e ampliandone la caratteristica di orto botanico. Lo
protesse con una cortina muraria e costruì verso le Fosse l’ingresso
con il cancello lanceolato fissato a due poderose colonne di stile
dorico prive di capitello, in sintonia con il "rovinismo
scenografico" caratteristico del tempo. Con il 1834 si può
considerare ultimata la sistemazione dello spazio, diviso in giardino
romantico e in "Hortus botanicus", che acquisterà
straordinaria notorietà e sarà visitato non solo dagli studiosi
europei, ma da personalità del calibro dell’Imperatore d’Austria
Francesco I.
Dei sei figli avuti dalla moglie Giulia Londonio, sposata quando il
Parolini aveva quarantasette anni, sopravvissero solo Elisa ed
Antonietta che andarono spose rispettivamente al celebre naturalista
irlandese John Ball e al nobile bassanese Paolo Agostinelli. Dopo la
morte del naturalista avvenuta nel 1867, fu la figlia Antonietta a
proseguire con grande passione ed intelligenza l’attività del padre,
lasciando poi erede universale il figlio Alberto Agostinelli che nel
1904 ottenne l’autorizzazione ad aggiungere il cognome del celebre
nonno. Alla sua morte, avvenuta nel 1927, il complesso botanico e le
case passarono al Comune di Bassano secondo la volontà testamentaria,
dopo una lunga disputa con i famigliari.
Dell’intensa attività in campo botanico di Alberto Parolini è
opportuno elencare, a chiusura di questa sintetica presentazione, almeno
i principali parchi nati dalla sua instancabile opera. Due, uno ad
Oliero e uno a sud dell’ex palazzo Polidoro confinante con
l’Istituto don Cremona, sono oggi scomparsi; altri due, il Giardino
Parolini e il parco della ex villa Diedo, a Cusinati, pur con
trasformazioni e interventi dannosi o inopportuni, costituiscono ancora
una valida testimonianza di un aspetto rilevante della cultura e della
storia del nostro paese.
Non è forse inopportuno ribadire che tutti, pubblici amministratori e
privati cittadini, dovrebbero essere tenuti a fare proprie le
indicazioni contenute nella "Carta dei Giardini storici",
conosciuta anche come "Carta di Firenze", che considera ogni
giardino storico un vero e proprio monumento vegetale che, presentando
un interesse pubblico dal punto di vista culturale e artistico, va
conservato e tutelato nel pieno rispetto delle regole elencate nel
documento stesso. Massimo Caneva
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