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TRA POSSAGNO E VENEZIA

Antonio Canova (Possagno, 1 novembre 1757 – Venezia, 13 ottobre 1822) è stato uno scultore italiano, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo e soprannominato per questo il nuovo Fidia. Viene considerato anche come l'ultimo grande artista della scultura italiana.
Fu soprattutto il cantore della bellezza ideale femminile, priva di affettazioni: basti a tale proposito ricordare le opere ispirate alle tre Grazie e a Ebe, del Museo di Forlì, oppure alcuni suoi capolavori come Venere uscente dal bagno, La Venere Italica e la statua dedicata a Paolina Borghese. La sua arte ed il suo genio ebbero una grande e decisiva influenza nella scultura dell'epoca.
Iniziò giovanissimo il proprio apprendistato e lo svolse esclusivamente nella città di Venezia, distante circa 80 km dal suo paese natale, Possagno. Nella città lagunare iniziò a scolpire le sue prime opere. L'ambiente veneziano fu per il giovane Canova quello della sua formazione. Egli subì, specialmente nel primo periodo di produzione artistica, l'influenza ed il fascino dello scultore del Seicento Gian Lorenzo Bernini, indiscusso maestro dello stile barocco.
Ventiduenne, si trasferì a Roma dove ebbe modo di incontrare e conoscere i maggiori protagonisti dell'arte neoclassica, inserendosi anch'egli in quel clima di capitale della cultura che era la città capitolina del Settecento. Dopo la sua scomparsa, per tutto l'arco dell'Ottocento, per quanto riguarda l'arte della scultura, i critici sono concordi nel sostenere come l'Italia non abbia svolto un ruolo di primo piano nel panorama europeo.

Canova rimase orfano del padre all'età di appena quattro anni. La madre, che si chiamava Angela Zardo, dopo non molto tempo, contrasse un nuovo matrimonio con tale Francesco Sartori e, subito dopo, si trasferì in una vicina cittadina, Crespano del Grappa.
Antonio restò a Possagno con il nonno, Pasino Canova, tagliapietre ed anche scultore locale di discreta fama. Questi, avendone capito la vocazione all'arte della scultura, si procurò di avviarlo e guidarlo nei suoi primi passi.
La sensibilità di Antonio Canova assorbì questi eventi molto profondamente, tanto da restarne segnato per tutta la vita.
Già da ragazzino il Canova dimostrò di possedere una predisposizione per la scultura modellando, con l'argilla di Possagno, opere piccole, ma già bellissime.
È famoso l'episodio che narra di un giovane artista che, verso i sei o sette anni di età, durante una raffinata cena di nobili personalità veneziane nella villa di Asolo del senatore Giovanni Falier suscitò enorme meraviglia fra gli invitati incidendo nel burro in breve tempo, ma già con grande maestria e bravura, la figura di un leone. Il padrone di casa, intuendo le grandi potenzialità artistiche ed il grande talento del giovane, si interessò personalmente del suo futuro, avviandolo allo studio e ad una idonea formazione professionale.
All'età di undici anni Canova iniziò a lavorare a Pagnano d'Asolo, in uno studio di scultura di Giuseppe Bernardi Torretti, non molto lontano da Possagno. Furono certamente quelli l'ambiente e la scuola d'arte che fecero crescere artisticamente il piccolo Tonin. Tramite i suoi maestri, i Torretti, Canova ebbe modo di essere introdotto nel prestigioso mondo veneziano, già ricco di molti fermenti artistici e culturali, ma ancora di influenza Rococò.
Nella città di Venezia egli approfondì e studiò il disegno, frequentando la scuola di nudo dell'Accademia dove si esercitava, facendosi ispirare dai calchi in gesso della Galleria di Filippo Farsetti.

Nel 1775, diciottenne e in cerca di nuovi stimoli e nuove esperienze, lasciò lo studio dei Torretti e si mise in proprio, aprendo una sua bottega d'arte da dove incominciò l'ascesa artistica che lo doveva rendere famoso, prima a Venezia, nel Veneto ed in Lombardia, e poi, piano piano, in tutta l'Europa. Le prime opere da lui prodotte furono: Orfeo ed Euridice (1776) e Dedalo e Icaro (1779), eseguito per il procuratore Pietro Vittor Pisani.
Lasciata da parte l'influenza della scultura settecentesca, s'ispirò alla classicità greca, senza però mai cadere nell'imitazione.

 

 

TRA ROMA E L'EUROPA

 

Nel 1779, dopo aver esposto il Dedalo e Icaro alla fiera della Sensa in piazza San Marco a Venezia ed averne ottenuto lusinghieri ed ampi riconoscimenti, decise di partire per Roma e lo fece il 9 ottobre dello stesso anno. Lì, studiò la statuaria antica e frequentò la scuola di nudo dell'Accademia di Francia e dei Musei Capitolini, inoltre ebbe modo di incontrare e conoscere i maggiori protagonisti dell'arte neoclassica e far proprie le teorie artistiche, di "nobile semplicità" e "quieta grandezza" del Winckelmann. Fu facile per lui inserirsi in quel clima da capitale della cultura che fu Roma nel Settecento riuscendo anche a crescere come artista, esercitando per lunghissimo tempo la sua attività. Proprio da lì iniziò quel riconoscimento al suo genio ed al suo talento che gli procurò in seguito un successo ed una fama mondiale.
A Roma dimorò a Palazzo Venezia e fu ospite dell'ambasciatore veneto Girolamo Zulian appassionato d'arte e grande mecenate di artisti, particolarmente di quelli veneti, dall'architetto Giannantonio Selva, a Francesco Piranesi, al pittore Pier Antonio Novelli, a Giacomo Quarenghi, agli incisori Raffaello Morghen e Giovanni Volpato.
L'amico Zulian gli fece avere le prime commissioni e, personalmente, gli ordinò le statue di Teseo sul Minotauro (1781) e quella di Psiche (1793), che mostrano come l'artista si impegni a creare forme in cui si incarni l'ideale neoclassico della bellezza, eliminando torsioni, panneggi e tutti quegli elementi eccessivi tipici dell'arte barocca, ottenendo una forma pura, in grado di trasmettere sentimento ed azione, però in "quieta grandezza".
Durante il soggiorno romano conobbe la figlia dell'incisore Giovanni Volpato, Domenica Volpato, iniziando un'amicizia ed un rapporto faticoso e molto travagliato. A Roma il Canova eseguirà le sue opere più belle: Amore e Psiche, Le tre Grazie e numerose altre.

 

Nel periodo napoleonico il Canova venne scelto e designato dall'imperatore Napoleone Bonaparte quale suo ritrattista ufficiale. Di lui l'artista eseguì molti ritratti, tra i tanti anche il Monumento a Napoleone I in bronzo che attualmente si trova all'Accademia di Brera. A proposito di questa opera è da ricordare l'aneddoto che riferisce di un Napoleone irritato per l'audacia dell'artista, al punto da rifiutare la statua perché si vergognava di essere stato ritratto nudo, nella personificazione di "Marte il Pacificatore".
Il periodo napoleonico fu per Canova un periodo molto fecondo artisticamente, anche se non volle mai diventare l'artista della corte dell'imperatore francese. Uno dei ritratti che il Canova produsse per la famiglia imperiale di Napoleone, ed anche uno dei più famosi e belli, è quello che rappresenta Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, seminuda, semisdraiata su un triclinio romano, con una mela in mano, nell'allegoria di "Venere vincitrice".
In questa rappresentazione si sente l'influsso di un'iconografia cara a Tiziano, pur se, nell'intenzionalità del Canova, vi era il desiderio di rappresentare la tentazione della bellezza femminile come origine del peccato.
Intanto la sua fama cresceva sempre di più, in Italia e all'estero ed aumentavano considerevolmente le commesse da tutta Europa.

Oltre che esercitare l'attività di scultore, Canova ebbe anche l'incarico della tutela e valorizzazione del patrimonio artistico che lo impegnò per parecchio tempo, compito che gli venne assegnato in quanto capo dell'Accademia di San Luca. Nel 1802 fu inoltre nominato "Ispettore Generale delle Antichità e delle Arti dello Stato della Chiesa".
Nel 1815, dopo la disfatta di Waterloo e la caduta di Napoleone, Canova, che si trovava in quel periodo a Parigi in compagnia del fratellastro, Giovanni Battista Sartori, figlio della stessa madre, uno dei suoi più validi collaboratori, che lo seguiva dappertutto e che gli fece da segretario e amico fedele per tutta la vita, si impegnò per ottenere, con Dominique Vivant Denon e attraverso un'abile azione diplomatica, la restituzione ed il rimpatrio delle numerose e preziose opere d'arte che, dietro ordine dell'imperatore, erano state trafugate e trasportate illegalmente in Francia dall'armata di Napoleone.
Papa Pio VII, quale segno tangibile di riconoscenza e di ringraziamento per questo suo grande impegno nella difesa dell'arte italiana, gli conferì il titolo nobiliare di Marchese d'Ischia.


Fonte: Wikipedia.org