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LA SCULTURA

Il lavoro sostenuto da Canova per realizzare una scultura era straordinario; di solito venivano rispettate quattro fasi:

- disegno (la prima idea di un lavoro, il primo schizzo: Sartori diede in legato nel 1851 al Museo Civico di Bassano tutti i disegni lasciati da Canova nello studio romano);
- il bozzetto in terra (cotta o cruda) o in cera, così da poter vedere immediatamente come poteva realizzarsi l'opera appena ideata nel disegno. Nella terracotta rimane spesso l'impronta della mano dell'artista che impaziente plasmava la materia docile e le dava forma affascinante e 'calda'. La datazione dei bozzetti è sempre difficile per la carenza di documenti certi.
- il gesso veniva colato su un modello, a misura, in argilla tenera, destinato ad essere distrutto. Nel gesso si inserivano le répere, quei chiodini sparsi lungo tutte le superfici della statua: con un apposito compasso appoggiato ai puntini, venivano riportate dal gesso al marmo le misure esatte del modello.

- il marmo, solitamente proveniente da Carrara, era l'ultima fase dell'opera. Dopo gli studi precedenti, la statua acquistava nitidezza, luminosità, piacevolezza. Il marmo è difficile da scolpire: se si sbaglia un colpo di scalpello spesso si è costretti ad abbandonare l'opera, con spese incalcolabili e lavoro sprecato. La tecnica del marmo e i soggetti trattati rendono davvero geniale l'opera di Antonio Canova. Per le grandi statue in marmo, Canova si faceva aiutare da numerosi operai e allievi che lavoravano nel suo studio di Roma. La parte creativa spettava comunque sempre a lui: solo l'artista "padroneggiava con ineguale maestria i due procedimenti su cui si basa la scultura, modellare e scolpire" (Honour). Le opere in marmo solitamente erano fatte su commissione e quindi vendute (a papi, principi, re): ecco perché i marmi di Canova sono sparsi per il mondo, mentre i modelli in gesso e terracotta rimanevano nella bottega dell'artista. La Gipsoteca non vuole essere un museo come gli altri (semplice esposizione di opere): essa ricostruisce abbastanza fedelmente lo studio dove lavorava Canova; tra questi gessi, si aggirava l'artista con i suoi aiutanti a misurare, ritoccare, scalpellare, incidere.

 

Fonte: Posagnot.com - da "La Gipsoteca Canoviana di Possagno" - Fondazione Canova - Edizioni Acelum

 

LE TRE GRAZIE

 

Le tre Grazie sono un gruppo di tre figure femminili scolpite dallo scultore Antonio Canova.

Il gruppo marmoreo denominato Le tre Grazie è una delle opere più celebrate di Antonio Canova, considerato il simbolo dell'intero movimento neoclassico.
L'opera è stata realizzata in marmo, durante il soggiorno romano dello scultore, nel 1813.
Si trova nel museo Ermitage di San Pietroburgo.
Qui come nelle altre opere di Canova, la sinuosità delle forme femminili (qui ispirata dalla figura mitologica delle Grazie), la delicatezza e la morbidezza nonché la ricercata levigatezza del marmo determinano un gioco di luci ed ombre che riporta alla formazione artistica veneziana dello scultore.
L'opera è ripresa da Raffaello Sanzio; la posizione delle donne è stata inventata da Canova, poiché tutte e tre le Grazie hanno una gamba piegata. Da notare la presenza di una colonna, posta per motivi di staticità, funge da base d'appoggio.

 

 

 

 

VENERE E ADONE

 

 

È il calco dal marmo che si trova a La Grange di Ginevra (Svizzera).

 


L’opera, che ebbe un successo notevole quando fu esposta a Napoli, appena uscita dallo studio dell’artista, rappresenta le due divinità in piedi, in atteggiamento di languido affetto: Venere trattiene il bellissimo Adone dalla caccia (tiene ancora in mano l’asta per colpire i cinghiali), mentre il cane fedele, un Cirneco dell’Etna, gli sta curiosamente addosso.

 

 

 

 

 

ERCOLE E LICA

 

L'opera venne commissionata da Onorato Gaetani dei principi d'Aragona, illustre ammiratore del gruppo di Adone e Venere, precedente opera dell'artista acquistata dal marchese Francesco Berio, il quale la collocò a Napoli in un tempietto appositamente costruito nel giardino del suo palazzo in via Toledo.
Fu ammirando tale calco che il nobile committente decise di commissionare a Canova, nel marzo del 1795, il marmo dell'Ercole e Lica.
Il gruppo rappresenta una vicenda tratta dai poeti antichi. Ercole, impazzito dal dolore procuratogli dalla tunica intrisa dal sangue avvelenato del centauro Nesso, scagliò in aria il giovanissimo Lica, che, ignaro, gliel'aveva consegnata su ordine di Deianira.
Interrotta e ripresa più volte, la statua venne lasciata in uno stato di abbandono in seguito alle dure vicende politiche che coinvolsero Napoli con l'arrivo dei francesi. Lo stesso principe ritirò tale commissione e dopo alterne vicende, l'opera venne acquistata dal noto banchiere romano Giovanni Torlonia nel 1800. Il gruppo marmoreo venne finalmente completato nel 1815, anno in cui l'opera venne posta dal proprietario in un'esedra del proprio palazzo e illuminata con luce zenitale.
Al tempo della sua prima esposizione, l'Ercole e Lica riscosse un immediato successo, ma la critica successiva giudicò in modo negativo l'opera, individuando schemi di un'esecuzione accademica, priva di una vera partecipazione emotiva.

Il gruppo scultoreo segue un'assoluta accuratezza geometrica. L'eroe appare in un momento di massima tensione muscolare, colto nell'atto di sollevare un piede dello sfortunato ragazzo, il quale invano oppone resistenza, aggrappandosi all'altare alle spalle dell'eroe e alla pelle di leone, abbandonata ai suoi piedi. Lica appare sollevato con forza da terra e sospeso in aria un attimo prima di essere scagliato nei flutti del mare.

Il gruppo,con la torsione ad arco dei 2 corpi nudi, sprigiona una grande intensità energica, che ha apice nell'urlo disperato del fanciullo e nei tratti adirati di Ercole, incorniciato in una folta barba di ricci; l'eroe appare completamente nudo, se non per il sottilissimo velo che Canova utilizzò per ricoprire la massa dei muscoli.

L'opera è derivata da un attento studio del Canova per alcuni celebri marmi antichi, quali i Colossi del Quirinale, l'Ercole Farnese e il celeberrimo gruppo ellenistico del Laocoonte in Vaticano; non è da escludere inoltre un suo attento studio al gruppo di Ettore e Troilo (conosciuto anche col nome di Atamante e Learco), conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
I francesi vollero leggere tale opera come un'allusione alla Francia che abbatte la monarchia; ma nelle opere del Canova, al contrario delle opere del David non vi è alcun riferimento ideologico, né tanto meno l'artista s'impegnò ad individuarne alcuno.

Fonte: Giuseppe Pavanello, Antonio Canova, Roma, L'Espresso, 2006 - Wikipedia

 

 

 

AMORE E PSICHE IN PIEDI

 

Il marmo si trova al Museo del Louvre di Parigi. Un marmo analogo (forse tratto da questo gesso) si trova all’Ermitage di san Pietroburgo. Psiche, in atteggiamento di gentile innocenza, regge la mano del dio Amore, dove posa una farfalla, simbolo dell’anima; Amore scorre il braccio lungo il collo della dèa e posa teneramente la guancia sulla spalla di lei. Il mito racconta che Psiche era una giovane principessa, così bella che persino Venere ne era gelosa e anzi ordinò al dio Amore di ferirla con una delle sue frecce perché sorgesse in lei l’affetto per un uomo bruttissimo. Ma Amore, appena vide Psiche, se ne innamorò, la fece trasportare dal vento Zefiro in un magico palazzo e i due si promisero amore eterno. Amore, spiegando le sue bellissime ali, tornava ogni notte a trovare la sua amata, ma la fece giurare che non avrebbe mai guardato il suo volto nel sonno, altrimenti la loro relazione si sarebbe interrotta. Ma Psiche non resistette: istigata dalle sorelle, tentò – malgrado il giuramento – di osservare durante la notte, alla luce di una lampada, il volto del suo innamorato mentre lui dormiva. Una goccia d’olio cadde dalla lampada: risvegliò Amore che rimproverò la fanciulla e la abbandonò. Psiche pianse a lungo la perdita del suo innamorato e solo dopo uan lunga serie di prove ricevette il perdono e Amore tornò a rinnovare i suoi incontri felici con la bellissima principessa.

 

Calco in gesso dal marmo, 1800?
cm 148x68x65

 

 

 

 

AMORE E PSICHE GIACENTI

 

 

Rappresenta la prima idea del noto gruppo Amore e Psiche giacenti, il cui marmo si trova in duplice copia al Museo del Louvre di Parigi all’Ermitage di San Pietroburgo e il cui gesso si trova al Metropolitan Museum di New York.

 

Il gruppo, oggi conservato al Louvre, appartiene alle allegorie mitologiche della produzione canoviana. Esso rappresenta Amore e Psiche nell'atto di baciarsi. Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici levigate ed un modellato molto tornito. La composizione ha una straordinaria articolazione.

 

Terracotta, 1787
Collocazione attuale: ala Scarpa, cm 16x29.5x13.5

 

 

 

 

PIO VI

 

 

È il modello del marmo (ultimato solo nel 1822, l’anno della morte dell’Artista: è probabile che gli ultimi tocchi all’opera, prima della consegna, siano stati assegnati da Adamo Tadolini) che si trova nelle grotte vaticane (fino a qualche decennio fa, stava ai piedi dell’Altare della Confessione); per il volto, Canova si ispirò ad un busto di Giuseppe Seracchi.Pio VI (al secolo: Giovanni Angelo Braschi, 1717-1799) fu pontefice dal 1775, in uno dei periodi più difficili e controversi della storia europea, quando emergevano le filosofie contrarie alla Chiesa e alla fede, irruppe la Rivoluzione in Francia, i giacobini tentarono la repressione violenta dei cristiani e Napoleone dichiarò decaduto il potere temporale della Chiesa. Pio VI, per ordine dello stesso Napoleone, fu trasferito a Valence, in Francia, dove terminò i suoi giorni, vecchio, ammalato e rattristato per le prepotenze francesi e per la lontananza da Roma.

 

Gesso, 1817-1820
Collocazione attuale: ala Ottocentesca, presso l’abside, cm 210x159x237

 

 

 

LA MANSUETUDINE

 

 

(Canova usò il nome di UMILTA’), può essere considerato uno studio preliminare alla grande statua della Mansuetudine che fu collocata nel Monumento funebre a Clemente XIV nella chiesa dei Santi Apostoli a Roma. E’ uno dei bozzetti più famosi e più squisitamente “romantici” di Canova: rappresenta una figura femminile, tutta raccolta entro un mantello che cade con docilità e abbandono; il capo è mesto e reclinato, le mani raccolte stancamente in grembo. L’insieme suscita un tenero accoramento.

 

Terracotta, 1783
Collocazione attuale: ala Scarpa, presso le Grazie, cm 13x11x9

 

 

 

 

 

ADONE INGHIRLANDATO DA VENERE

 

 

Non fu mai tradotto in marmo, resta quindi un pezzo unico.
Questo affascinante gruppo presenta una piacevole armonia nel movimento dei corpi: le braccia dei due giovani si chiudono ad arco, reggendo una coroncina di fiori. Venere adagia mollemente la testa sulle ginocchia del giovane; Adone, seduto, guarda la ragazza con sorpresa e gratitudine.
I corpi sono nudi come vuole il linguaggio della statuaria, ma non si nota alcun sentimento sconveniente né turpe.
Adone è un mito antichissimo di origine fenicia, simbolo della natura che muore e che risorge continuamente: Venere si era innamorata della bellezza straordinaria di Adone, ma un giorno il giovane, accanito cacciatore di cinghiali, fu aggredito e ucciso da uno degli animali da lui ferito. Zeus, impietositosi per la morte del giovane, gli concesse di tornare in vita ogni anno, nella stagione della primavera.

 

 

Gesso, 1789
Collocazione attuale: ingresso dell’ala Ottocentesca, cm 145x104x185

 

 

 

 

 

NAPOLEONE COME MARTE PACIFICATORE

 

Il marmo risale al 1806, ed è a Londra in Apsley House, dopo che Napoleone si era rifiutato di esporla in pubblico per l’esplicita nudità delle forme.

Questo colosso fu realizzato secondo il costume eroico greco: sta in piedi, nudo, nell’atto di avanzare; tiene in mano l’asta, nell’altra il mondo con la vittoria alata. Dalle spalle gli pende il mantello militare, mentre la spada – segno della forza dimostrata nella conquista dell’Europa – è abbandonata presso il tronco su cui tutto il corpo poggia.

Gesso, 1806
Collocazione attuale: ala Ottocentesca, presso l’abside, cm 240

 

 

 

PAOLINA BONAPARTE COME VENERE VINCITRICE

 

È il modello (decapitato durante la Prima guerra mondiale) del marmo che si trova a Villa Borghese, in Roma. Paolina Borghese, rappresentata distesa su un triclinio, era la sorella di Napoleone Bonaparte, moglie di Camillo Borghese, principe romano; era una donna bellissima e raffinata: volle posare personalmente per Canova che la raffigurò con una mela in mano, come la dea Venere che vinse la gara lanciata da Paride con Giunone e Minerva.

Gesso, 1804-1808
Collocazione attuale: ala Ottocentesca, cm 90x200x65

 

 

 

 

MONUMENTO FUNEBRE A MARIA CRISTINA D'AUSTRIA

 

È il modello del marmo che si trova nella chiesa degli Agostiniani in Vienna, commissionato nel 1798, durante il viaggio di Canova a Vienna, e inaugurato nel 1805. Il Monumento è una complessa costruzione a forma piramidale, con – al centro - una porta semichiusa simbolo del passaggio dalla vita terrena all’Aldilà. In alto, vi è il profilo di Maria Cristina, principessa della Casa imperiale d’Austria, entro un medaglione con la cornice di un serpente che si morde la coda (rappresenta l’eternità): il medaglione è retto dalla Fama. Alla base della piramide, il leone (simbolo delle forze fisiche) e il genio funerario (metafora dello spirito umano) stanno affievolendo il loro vigore (sono quindi simbolo della vita che si spegne); dall’altra parte della porta, una processione si snoda, lenta e dignitosa, verso il luogo del trapasso: la Virtù, preceduta da due ancelle, trasporta il vaso delle ceneri entro il sarcofago, sopraggiunge la Beneficenza con il bambino e il vecchio malfermo e cieco.

Gesso, 1800
Collocazione attuale: ala Ottocentesca, cm 585x700x202

 

 

 

TESEO SUL MINOTAURO

 

Il gruppo scultoreo è una rappresentazione del mito di Teseo e si pone come una delle opere più esemplari del concetto di arte neoclassica. L'eroe ateniese, aiutato da Arianna, penetrò nel labirinto di Creta, ove era rinchiuso il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, e riuscì ad ucciderlo. L'episodio si prestava a molteplici possibilità: uno scultore barocco come il Bernini ne avrebbe probabilmente approfittato per cogliere il momento di massimo sforzo nello scontro tra Teseo e il Minotauro e scolpire un gruppo di grande dinamicità e tensione. Invece Canova, da artista neoclassico, cerca il momento della quiete e non dell'agitazione. E così preferisce sintetizzare la storia al momento della vittoria di Teseo, quando la tensione si è oramai sciolta e un profondo senso di pace pervade l'eroe. In questo istante si coglie anche un senso di umana pietà che Teseo prova verso il mostro sconfitto, in quanto la sua nobiltà d'animo gli impone di non odiare il nemico. Tutto il gruppo scultoreo tramette quindi un senso di profonda calma: è il momento in cui l'agitazione delle passioni e delle azioni si spegne e si trasferisce all'eternità del mito. Da un punto di vista stilistico il gruppo ha equilibri molto classici e le forme anatomiche di Teseo richiamano direttamente le inespressive ma perfette fattezze di tante statue dell'antica Grecia. Il gruppo è quindi una espressione paradigmatica delle nuove esigenze estetiche dell'arte neoclassica.

 

 

 

MONUMENTO A CLEMENTE XVIII

 

Il tema della sepoltura, abbiamo visto, è stato uno dei più praticati da Antonio Canova, che nei suoi monumenti funebri tende alla consacrazione della memoria del defunto, secondo le esigenze tipiche della cultura illuministica e neoclassica. 

 

Il veneziano Carlo Rezzonico è stato papa con il nome di Clemente XIII dal 1758 al 1769. 

 

Di personalità molto amabile e caritatevole interpretò su queste basi la funzione del suo apostolato mostrandosi quale "buon pastore"...