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ABISSO
ESTREJA
Agosto
1988, tutto era finalmente pronto, i pesanti materiali erano stipati nelle
auto, la mia amata ed eroica Fiat 127, in particolare, era talmente
stracarica di roba che i parafango posteriori sembravano quasi appoggiati
sui pneumatici, ero purtroppo certo che prima o poi mi avrebbe lasciato a
piedi!
Da alcuni mesi avevamo deciso di organizzare il nostro primo campo
speleologico sul Massiccio del Grappa, precisamente nel territorio
comunale di Possagno, in provincia di Treviso.
A dire il vero non eravamo particolarmente entusiasti e fiduciosi di
scoprire ed esplorare nuove cavità, dai dati catastali risultava infatti
palesemente che l'area carsica che intendevamo esplorare, era già stata
oggetto di attività di ricerca da parte di altri gruppi.
In particolare, i colleghi del Gruppo Speleologico Padovano CAI, avevano
esplorato nel 1985, decisamente prima del nostro "avvento", la
"Grotta Aspis "(3495 VBL), un importante cavità verticale
profonda ben 176 metri, situata però in territorio comunale di Alano di
Piave, in provincia di Belluno.
L'ingresso di questa cavità, ubicato a margine dei profondi e dirupati
fianchi dell'incisione valliva de "La Pila", dista poche
centinaia di metri da "Malga Camparona".
Questo fatto però ci influenzò in maniera relativa, era naturale
prevedere che qualche speleologo avesse già calcato quei suoli calcarei.
Erano altre particolari situazioni, invece, che ci davano parecchio
fastidio.
Alcuni esimi speleologi dell'alto vicentino, in quel tempo già in auge da
alcuni lustri, il cui nome, comunque sia, non merita di salire alla
ribalta delle cronache, continuavano a ripeterci, ogni qual volta se ne
presentasse l'occasione, che oramai il Massiccio del Grappa non poteva più
riservare, neanche a noi giovani ed intraprendenti speleologi, rilevanti
sorprese esplorative!
Sembrava, a sentir discorrere questi felloni del buco, che sul Grappa non
potesse esistere un sol palmo di terreno non intaccato dalla suola dei
loro scarponi!
Hitler diceva sempre: "Più grande è la bugia, più la gente la
crederà!"
Noi però, anche se non certo incoraggiati da questi "autorevoli
" personaggi, decidemmo che per sfatare questi facili e presuntuosi
giudizi, occorresse prima di tutto perseguire i nostri intenti, vivere i
nostri sogni, rifiutare a priori quelle boriose e menzognere teorizzazioni.
Questi "speleolofili", fino a poco tempo prima amichevoli,
solidali e disponibili, evidentemente non ci volevano più tra i piedi,
interpretando il nostro attivismo, in quel tempo al limite dello
stacanovismo, come un'invasione di campo, una seria minaccia alle loro
attività!
Così, aperti finalmente gli occhi, decidemmo, anche se con qualche
rimpianto, di intraprendere tutte le nostre attività in completa
autonomia!
Cicerone sosteneva dall'alto della sua saggezza : " Verso alcuni si
rendono più benemeriti gli aspri nemici che quegli amici che sembrano
dolci : quelli spesso dicono la verità, questi mai."
Avevamo ottenuto il permesso di piantare la nostra tendopoli nelle
immediate vicinanze di "Malga Paradiso", situata non lontano
dalla "Forcella di Camporanetta".
Il Sig. Ceccato di Crespano del Grappa, gestore di Malga Paradiso, era un
tipo apparentemente burbero e un po' acciaccato (aveva partecipato durante
il secondo conflitto mondiale alla disastrosa campagna di Russia e vissuto
sulla propria pelle la disfatta dell'ARMIR ).
Ben presto , per nostra buona sorte, riuscimmo ad ammansirlo ed ottenere
la sua incondizionata fiducia.
Beh, a dire il vero, tanto incondizionata non fu, ci fece infatti
promettere solennemente che non avremmo"rotto i maroni " alla
sua famiglia, alle sue vacche e alle sue galline.
Non onorando tale promessa avremmo rischiato lo " sbaraccamento
immediato del campo".
Il buon Ceccato non ebbe modo di lamentarsi della nostra condotta, tant'è
che la sera stessa, incredibile ma vero, ci invitò tutti a cena !
L'area in cui avremmo svolto le nostre attività di ricerca era
rappresentata da una vasto e sinuoso crinale, delimitato ad ovest
dall'incisione della "Val di Archesòn" ed a est dalla "Val
di Archesét", mentre a nord e sud, esso si estendeva rispettivamente
fino alle località "Forcella di Camporanetta"( quota 1346 m.) e
"Cima della Mandria" (quota 1482 m.).
Dal punto di vista geo morfologico non ci si trovava di certo di fronte a
marcati fenomeni carsici superficiali, le microforme erano quasi
inesistenti , mentre le doline, quasi tutte a fondo piatto, erano poco
frequenti e inesorabilmente riempite di sfasciumi detritici.
Queste ultime erano ubicate in principal modo nella destra orografica
della Val di Archesòn, a quote altimetriche comprese tra i 1324 e i 1375
m. s.l.m.
Dal punto di vista stratigrafico l'area carsica era quasi interamente
interessata dalla presenza, in superficie, del litotipo del Biancone del
Veneto, che seppur carsogeno e di natura compatta, si presentava alquanto
fratturato ed incoerente.
Questi fenomeni di frammentazione e disgregazione, in buona parte
generatisi grazie all'azione meccanica e modellatrice degli agenti esogeni
, non potevano che sfavorire i processi di carsificazione e speleogenesi,
sarebbe risultato per questo assai arduo accedere ad ambienti profondi .
I pochi ingressi individuati nel corso di precedenti sopralluoghi , si
presentavano infatti stretti ed inaccessibili .
I fianchi nord occidentali della dorsale erano invece caratterizzati da
estesi affioramenti di calcare rosso ammonitico del Malm, stratificato in
potenti banconate.
All'interno di queste ultime, nel corso della Prima Guerra Mondiale, i
militi italiani avevano ricavato ampi ed articolati sistemi di rifugi in
caverna, ancor oggi visitabili e molto ben conservati grazie all'estrema
compattezza e coerenza della massa rocciosa.
Al campo eravamo per il momento in tre, io, Alberto Crestani (Protòn) e
Maurizio Parisotto (Mafiàs).
Rappresentavamo le avanguardie del Gruppo Geo, il resto della banda ci
avrebbe raggiunti , almeno si sperava, qualche giorno dopo.
Sistemato finalmente tutto il nostro armamentario, fummo accompagnati dal
figlio del Sig. Ceccato , un giovinetto scarno ma dall'andatura
insostenibile, a visionare alcuni presunti ingressi di cavità, che ahimè
si rivelarono ricoveri in caverna e tane di tassi.
La conoscenza del territorio, da parte della nostra guida era ottima, non
c'era dunque il pericolo che alcun pertugio avesse la possibilità di
sottrarsi alla nostra vista e brama esplorativa.
D'altro canto, essendo l'intera zona, prativa ed utilizzata per
l'alpeggio, difficilmente un buco, piccolo o grande che fosse, sarebbe
stato ignorato e soprattutto non protetto con delle evidenti recinzioni!
Comunque sia, di grotte naturali, neanche l'ombra!
Ci incamminammo un po' scoraggiati, sotto un sole che spaccava le pietre,
verso una profonda trincea che si sviluppava serpeggiante sin sulla cresta
della dorsale, lambendo la Malga Archesèt (quota 1453 m.).
Il panorama era veramente suggestivo !
In particolare, fummo incuriositi da un evidente fenomeno, presumibilmente
legato alle recenti evoluzioni tettoniche di questo lembo di Massiccio, un
fenomeno interessantissimo che, nel corso dei millenni, aveva visibilmente
modificato l'idrografia della montagna.
La Valle di Archesèt, infatti, era stata catturata, proprio nei pressi
del nostro accampamento, dalla Val Scura.
Ci apparve evidente come la porzione della Val di Archesèt a monte della
cattura, fosse profondamente incisa, mentre il tratto oltre cattura,
avesse conservato, insieme alla sua originaria morfologia a fondo piatto,
svariati ed evidenti fenomeni di dissoluzione carsica.
Di lì a poco ci imbattemmo nell'imbocco di un pozzetto di quattro metri,
sorprendentemente non conosciuto dal figlio del Sig. Ceccato.
Quello che ci apparve più importante però, fu il constatare la sua certa
natura carsica, anche se demmo quasi per scontata una sua sicura
occlusione.
Sul fondo della piccola verticale infatti nessuna apparente prosecuzione
pareva dipartire.
Alberto decise comunque di andare a dare un'occhiatina e , indossati il
casco e la tuta si calò, arrampicando, nel pozzetto, (non prima però di
essere stato assicurato con una corda), se non altro per vedere se la
piccola cavità avesse un sufficiente sviluppo per l'esecuzione del
rilievo topografico.
Raggiunta in breve tempo la base del saltino, scomparve alla nostra vista!
Di tanto in tanto, da sempre più lontano , lo sentivamo chiederci corda,
corda, ancora corda!
"Ma dove xèo 'ndato finire", esclamò Mafiàs, rizzandosi
inpettitamente con un'aria un po' preoccupata .
"Cossa garaeo trovà, parchè nòl torna in drio chèl coiòn !"
esclamai!
Trascorsi altri istanti decidemmo di chiamarlo, ma ad un tratto gli
sentimmo urlare a gran voce che la grotta continuava, e alla grande!
Riguadagnata la base del pozzetto, Protòn ci raccontò tutto ciò che
aveva veduto, gli occhi gli brillavano."
Tuxi, tuxi, che rassa de svertòn, che tonfi, che buxàsso"!
Protòn aveva percorso un alto meandro che, dopo alcuni metri sprofondava
in una voragine dall'indefinibile profondità.
Lo scoraggiamento che fino a qualche minuto prima ci pervadeva si dissolse
in un non nulla!
L'inaspettata scoperta di quel buco fece salire alle stelle il nostro
entusiasmo, tanto che programmammo una prima seria esplorazione per la
notte stessa, non prima però di onorare l'invito a cena del Sig. Ceccato,
giù all'accogliente Malga Paradiso.
Il padrone di casa ci diede così tanto da mangiare e da bere che avemmo
la sensazione che "la trippa" ci potesse scoppiare da un momento
all'altro!
Accomiatatici a tarda sera dai nostri ospitali amici, preparammo le nostre
attrezzature e ci incamminammo , zaino in spalla, verso l'imbocco della
grotta.
La luce della luna piena illuminava i nostri passi ,appesantiti dai
bagordi enogastronomici.
Raggiungemmo l'ennesima erta prativa, alcuni centinaia di metri più in
quota si trovava l'ingresso, ubicato a margine di una bella pecceta.
Erano sopraggiunte oramai le quattro del mattino, quando io e Protòn
raggiungemmo una esigua cengia, posta a circa trenta metri di profondità.
Le dimensioni della verticale che avevamo discesa erano ragguardevoli, ma
era soprattutto la dimensione dell'imbocco del pozzo susseguente ad
incuterci una certa qual riverenza.
Mafias, rimasto all'esterno , non voleva saperne di portarci giù il resto
delle corde occorrenti.
Stava invano tentando di vincere una tremenda ed irrefrenabile crisi di
sonno ,quando ci avvisò che se non fossimo usciti a prendercele, ci
sarebbero arrivate dritte sulla crapa.
Diavolo d'un Mafiàs, il giorno prima si era alzato alle cinque del
mattino per andare a prendere il latte appena munto a Malga Paradiso e,
nel tentativo di superare in volo un tirante, lo aveva sparso ancora caldo
sulle nostre tende!
Maurizio comunque aveva ragione, non dovevamo superare il limite, così
decidemmo di interrompere l'esplorazione, ripromettendoci di completarla
nel pomeriggio dello stesso dì, sicuramente più riposati e svegli.
Giù al campo intanto ci aveva raggiunti Neno (Andrea Bordin), rapato
quasi a zero e reduce da un viaggio in terra d'Irlanda.
Accogliemmo come si conviene il nostro grande amico, che ci informò che
tutti gli altri sarebbero arrivati il giorno seguente, con il resto dei
materiali e dei viveri.
Alle otto della sera, ricevemmo la visita inaspettata di Ernico, amico
speleologo di Valstagna ,che riuscimmo a convincere di fermarsi a cena.
Trascorremmo una serata in allegria , si parlò di grotte e si bevve molto
vino!
Il mattino dopo arrivarono puntualmente al campo gli altri, Halfy e Diana,
Franco, Leo, Lidiana e Mariaelena, Fabio, mancavano solo Giorgio ed Helmut,
in vacanza sui monti della Valle D'Aosta.
Una buona e abbondante pastasciutta e via, verso la grotta!
Avevamo deciso di aspettare i nostri compagni e dedicare invece il
pomeriggio del giorno prima all'esplorazione e rilevazione di altre due
piccole cavità : la " Bisnoja de le ave "(VTV 3821) e la "Bisnoja
sòt i pèss "(VTV 3822) (nel colorito vocabolario del Sig. Ceccato
il termine "bisnoja" significava "spelonca").
La settimana seguente fummo invece impegnati nell'esplorazione della
complessa ed articolata " Bisnoja de l'or chen' pàs " (VTV
3820), segnalataci ancora una volta dal figlio del Sig. Ceccato e profonda
una quindicina di metri.
Raggiunto l'ingresso dell'abisso Estreja " (VTV 3819), ( dedicato ad
un gran pezzo di figliola iberica di cui Mafias si era perdutamente
innamorato una settimana prima in terra di Spagna) ,decidemmo di
organizzarci in piccole squadre, io Protòn e Halfy avevamo il compito di
continuare l'attrezzamento del terzo pozzo della grotta, mentre Neno e gli
altri dovevano occuparsi del rilievo e del servizio fotografico.
Il secondo pozzo era veramente spettacolare!
Halfy mi raggiunse sulla cengia, mentre Protòn era impegnato nell'armo
della nuova profonda verticale.
Due spit, un deviatore, un frazionamento e Alberto raggiunse la base del
pozzo.
Di lì a poco ecco atterrare sulla cengia anche Franco Moro, il nostro
mitico segretario, un po' avulso, a dire il vero, da tacchicardiche e
vertiginose calate ipogee.
Era alla sua prima seria esplorazione in una grotta verticale e la sua
attrezzatura, nuova di palla, faceva luce da quanto luccicava!
Quel giorno si bloccò per un bel po' su di un frazionamento : "la
sua maledizione discese su tutti noi ".
Raggiungemmo Alberto in fondo alla grotta, le prosecuzioni erano evidenti,
occorreva però disostruire con tecniche che, ai quei tempi, conoscevamo
solo per sentito dire!
Così, dopo l'effettuazione del rilievo, scattammo alcune foto e decidemmo
di ritornarcene all'esterno.
Le esplorazioni dell'abisso Estreja ( riprese proprio in questi ultimi
mesi), ci avevano decisamente appagato.
Si trattava in definitiva, della grotta più profonda individuata fino ad
allora dal nostro giovane Gruppo, e , anche se ci si trovava di fronte ad
una cavità profonda "solamente" cinquanta metri, sentivamo
dentro di noi una profonda soddisfazione!
Il nostro primo campo speleologico di ricerca sul Massiccio del Grappa
oramai volgeva al suo termine.
Avevamo, tutti assieme ,vissuto momenti unici ed emozionanti, i nostri
legami di amicizia, già forti, si erano ulteriormente saldati e questo
era importante più di qualsiasi altra cosa.
Ora conoscevamo un po' di più la nostra vicina e grande montagna !
Negli anni avvenire essa ci avrebbe regalato la scoperta di grandi e
profondi abissi carsici, mondi sotterranei, ancora oggi tutti da sognare e
scoprire!
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