IL
FIUME BRENTA
Naturale
via di transito fra Venezia e Trento, la valle del Brenta fu presidiata
fin dall'epoca romana da numerosi "castella", al fine di
controllare i traffici commerciali e contrastare il passo agli eserciti
germanici che spesso per questa via tentarono di scendere nella pianura
veneta. Tali fortilizi furono costruiti nei punti strategici, dove la
valle si restringe quasi a non voler lasciar passare altri che il
Brenta: unica rimasta, tra Cismon e Primolano, è la fortezza dei Covolo
Butistone, ricavata in un enorme caverna internantesi in una roccia a
strapiombo sulla strada. Un capitano delle milizie venete del '600, il
Caldogno,
ne fa un'accurata descrizione, spiegando che essa è "in un monte
di vivo sasso, molto alto e diritto, quasi come tagliato a piombo alla
via soprastante, nella parete superiore del quale, nel sasso stesso una
spelonca, che v'era con una fonte di bell'acqua dalla natura fatta, gli
uomini anticamente rassettarono, e fecero una rocchetta alla quale ire a
piè non si può, ma per fune giù mandata con una soggetta di legno da
su starvi gli uomini ad uno ad uno per forza di una ruota che quei della
rocchetta rivolgono, sono su collocano e tutte quelle cose che vi si
hanno da portare in quel modo sono levate, e da esse portate bisogna che
siano". Ben sedici erano i locali ricavati nello speco: depositi di
armi e munizioni, stanze per la truppa, il capitano ed il cappellano,
una piccola chiesa dedicata a San Giovanni Battista e le prigioni;
poteva ospitare, con le relative artiglierie, fino a 500 uomini.
Per la difesa dei
confini con il vicino impero germanico non si poteva comunque contare
esclusivamente sulle deboli guarnigioni presenti in valle: ed ecco
pertanto la cura che i dominanti ponevano nell'accaparrarsi e mantenere
la fedeltà di quei rudi valligiani, rotti ad ogni disagio della vita
sui monti, che, come afferma il Tassoni descrivendo le milizie di
Ezzelino il Tiranno:
"Con occhi stralunati e cere brutte Armati di balestre, ronchi e
scale,
Pareano nati apposta per far male".
Fu soprattutto sotto il dominio della Serenissima che "li huomeni
di Valstagna" compirono epiche gesta per contrastare la discesa
dell'imperatore Massimiliano 1, nel corso della guerra contro la lega dì
Cambrai.
Celebre
è rimasto l'episodio in cui i valligiani, rotolando sassi dalla
montagna, sgominarono l'esercito del capitano di ventura Calepino in
marcia contro Bassano; incontrato il podestà che, ignaro del fatto,
stava risalendo la valle ad impedirgli il passo, questi " ... vedè
M. Christoffano Calapin preson, e ghe disse el Mag. Podestà a M.
Christoffano Calapin capitanio: volevi vegnir a scazarne da Bassan, ma
ti si remagnù preson; et Mag. Christofanno Calapin rispose.Magnif.
Podestà l'haveria anche fatto, sel no fosse stato li huomeni de
Valstagna, che hanno rovinà mi, e la mia sente; et el Mag. Podestà le
disse: non sapete che li nostri de Valstagna tutti son fidelli di San
Marco, et stati sempre mai, et viva San Marco".
A ricompensa di
questa fedeltà Venezia concesse ai "canaloti" numerosi
privilegi: sulla piazza di Valstagna il leone di San Marco con la spada
in pugno (il "Leon de guera") tiene la zampa sul libro chiuso,
a significare che nessuna tassa era dovuta ai governanti.
Brenta, terrazzamenti e pareti rocciose: questo è l'ambiente naturale
ed umano della nostra valle. Il Brenta innanzitutto, che con la sua
fresca corrente mitiga la calura estiva e rende piacevole il passeggiare
(per "ciapar i freschi", come dicono qui) lungo le riviere in
cui le case si affacciano sulle acque a specchiare la loro colorata
bellezza, così voluta dai secenteschi signorotti della capitale, che
qui commerciavano legname, a ricordare forse la loro Venezia lontana. 
Ma
anche sotto il solleone le numerose spiaggette appartate lungo il corso
del fiume suppliscono a ben più lontani lidi, mentre i ragazzi trovano
nei grossi massi che fendono la corrente dei fiume ideali trampolini di
lancio per i loro tuffi. Le canoe poi, qui sono di casa: le
caratteristiche del fiume, a tratti calmo, a tratti spumeggiante nel
rapido vorticare delle acque ristrette tra le sponde rocciose, sono
ideali per la pratica di questo sport; esso tocca il suo momento di
gloria nel periodo estivo, quando numerose sono le gare, anche a livello
internazionale, che si susseguono nella "palestra" di
Valstagna.
La più famosa, e atipica, tra queste è però il palio delle zattere:
nell'ultima domenica di luglio le varie contrade del paese si sfidano,
in una travolgente corsa tra le onde, sulle zattere di tronchi che i
loro avi usarono quale strumento di lavoro quotidiano.
Ma la dote per la quale il fiume è più giustamente famoso è la sua
pescosità: già nel '700 il Dal Pozzo ci assicura che "le acque
del Brenta producono molte sorta di pesci non ignobili, quali sono trote
le più squisite, le quali hanno la carne di color giallognolo o
rossiccio, temoli, poco inferiori alle trote, squali, barbi, anguille,
luzzi, tinche, lamprede, ghiozzi, volgarmente detti marsoni, gamberi ed
altri pesciolini". La presenza della lontra, che vive solo nei
fiumi assolutamente puri, ci conferma che qui troviamo le "chiare,
fresche, dolci acque" cantate dal poeta.
Pochi,
ma straordinari, sono gli affluenti dei Brenta: il Cismon che, prima di
gettarsi nel fiume, trattenuto da un'altissima diga forma il delizioso
lago del Corlo; il Subiolo, che emerge ribollendo da un sifone
sotterraneo; il Frenzela, che va a gettarsi quasi in piazza a Valstagna
formando la spettacolare cascata dei calieroni, così chiamata dalle
grosse "marmitte" scavate in ognuno dei suoi precipiti salti;
infine l'Oliero, sfociante alla luce attraverso le famosissime grotte da
chissà quali incogniti percorsi sotterranei.
" ... Più in alto una rampa di nude rocce si alza fino alle nubi,
e la neve si stende sulle sommità come un mantello" scrive la Sand,
ed è veramente impressionante osservare le altissime pareti
dolomitiche, scavate in torri, spezzate in esili guglie, incise da
profondi valloni dall'incessante lavorìo del gelo e delle acque,
levarsi al margine dei coltivi, appena sopra le ultime contrade, per
raggiungere d'un sol balzo i pascoli delle alture e morirvi in dolci
declivi e placidi maggenghi.
Su di esse, praticabili anche d'inverno per la quota modesta a cui si
sviluppano, compiono i loro severi allenamenti, preludio a più ardue
imprese dolomitiche, gli alpinisti, la cui passione il Garobbio così
canta: " ... Così quegli orridi dirupi, già dimora di maghi e di
streghe, s'ammantano di altri incantesimi, diventando agone solare di
una gioventù coraggiosa e disperatamente innamorata della vita, decisa
a spendere in un'ora quel coraggio che altri non impiega in un'intera
esistenza, per godere in un'ora quella gioia selvaggia che altri non
prova nell'esistenza intera".
Tra il Brenta e le pareti, domìni dell'azione creatrice della natura,
si incunea il paesaggio modellato dalla mano dell'uomo: quasi ovunque i
ripidi declivi sono stati domati, ridotti in minuscole strisce di
terreno pianeggiante, i terrazzamenti, in cui un tempo veniva coltivata
la principale risorsa economica della valle: il tabacco.
Nel
1502 il segretario ducale Alvise de Piero scriveva, in una sua relazione
al Consiglio dei Dieci, non esservi nel Canal di Brenta "alcun
palmo di terreno".
Ma da tre secoli, avverte nell'800 il Brentari, i bravi valligiani
lavorano per trasformare le nude rocce in campi preziosi, fino a
coltivarvi venti milioni di piante di tabacco ogni anno:" ... è
veramente mirabile l'arte e la perseveranza con cui quei valligiani
seppero, con fatiche inapprezzabili e impagabili, ridurre a coltura
alcuni tratti dei ripidi declivi della montagna, cambiando questa in
grandiose scalee, i cui scaglioni, impedenti uno sull'altro, sono
piccoli campicelli sostenuti dalla roccia e da muriccioli, e creati,
ingrassati, adacquati, con terra, concime ed acqua portati lassù a
schiena d'uomo! ".
Considerando come essi furono realizzati, possiamo renderci conto di
quante fatiche e sudori sia intrisa la loro terra: si iniziava con
l'asportare dal pendìo lo strato di terreno superficiale, fertile e
ricco di bumus, e lo si accumulava da un lato; con le leve si toglievano
i sassi dallo strato roccioso sottostante: i più grossi venivano poi
squadrati e sovrapposti a formare il muro esterno, la "masiera",
mentre i più piccoli erano sistemati all'interno a riempimento, alla
fine si riportava al di sopra dei ripiano così formato lo strato di
terreno lavorabile.
I vari terrazzi erano poi collegati tra loro da ripidi sentieri,
scalette di pietra e strettissime sporgenze ricavate nel mezzo dei
muraglioni, chiamate "resalti".
Anche le case che,
costruite sulle masiere, ne sembrano quasi un prolungamento, sono state
realizzate per assolvere ad una ben precisa funzione nell'ambito di
questa particolare economia agricola: strettissime ed allungate lungo le
curve di livello come i terrazzi a cui si appoggiano, sono molto
sviluppate in altezza per risparmiare il prezioso terreno; le finestre
sono presenti in gran numero per un'ottimale circolazione dell'aria ai
piani superiori dove avveniva l'essiccazione del tabacco; nel
seminterrato, sotto i locali di abitazione, si trova la stalla, con il
caratteristico soffitto a volta, così strutturato per meglio scaricare
sulle fondamenta il peso della sovrastante costruzione. Tipica al
proposito è contrada Giaconi, ben visibile a chi sale da Valstagna
lungo i primi tornanti della strada per Foza, simile quasi nella forma
ad una fortezza sostenuta da un'altissima torre sul dirupo al quale si
affaccia.
Paesaggi
naturali ed umani dicevano all'inizio, ma che non si lasciano scoprire
da chiunque: è necessario prima mettersi in sintonia con lo spirito di
questa natura aspra e forte, con il sentire di quegli uomini che nel
passato la piegarono senza violenza; capire l'antica miseria che li
spinse a trovar sostentamento in queste terre strette tra un fiume
selvaggio ed i monti a strapiombo; conoscere la vita tra i boschi e i
pascoli in cui il montanaro entra quasi con rispetto, pochi mesi
all'anno, per poi tornare alle case disposte come i grani di un rosario
lungo il corso del Brenta, giù, in fondo alla valle; scoprire con amore
quei campicelli di magro terreno strappati alla roccia e che da roccia
in enormi blocchi sono sostenuti, quelle antiche mulattiere colleganti
il monte alla valle, testimonianza di fatiche giornaliere nel trasporto
dei tronchi.
Forse bisognerà ritrovare dentro di noi il gusto delle piccole cose,
tanto piccole ma tanto grandi perché sono solo nostre: "... il
mormorìo del Brenta, un ultimo sussurro del vento tra le foglie, le
gocce di pioggia che si staccano dai rami e cadono sulle pietre con un
lieve brusìo che tanto somiglia a quello di un bacio, un non so che di
triste e di tenero è sospeso nell'aria e sospira tra le piante ...
"