TRADUCI IN

 

IL PALO DELLA CUCCAGNA

 

Che faticaccia ad arrivare per primo in cima al palo della cuccagna, a stare a guardarli è proprio il caso di dirlo! Chi vince è un portento, un gladiatore. Il palo della cuccagna! È uno dei giochi riesumati o forse mai lasciati, sicuramente mai dimenticati, è un gioco, come il tiro alla fune, la corsa nei sacchi, quella degli asini, poi c’è quella delle oche,o la gara tra cani pastori che con un fischio devono tornare a casa, pecore e montoni. Non hanno però ancora riesumati quella dei leoni, pensate!

Bisognava essere i più veloci a farsi mangiare in un sol boccone, eravamo però ancora ai tempi dei romani e dei cartaginesi, tutti domatori, ma di schiavi o disertori. Ma come nacque il palo della cuccagna? C’era già, alcuni secoli fa, un paesello di montagna, situato, tra gli ottocento e i mille metri, dove, verso il 15 di Agosto, anche le persone che se ne erano andate ,facevano ritorno. In quel paesello esistevano piantagioni di frutta di molti tipi, in gran quantità e di ottima qualità, ma come si sa ogni frutto ha un suo periodo di maturazione, e per Agosto alla metà anche a quell’altezza per il frutteto era poca e non di tanta bontà. C’era però! Il sagrestano, che pensando e ripensando, una notte sognò un albero pieno stracolmo di frutti di ogni tipo che maturavano nelle piantagioni del suo amato paesello.

Così al mattino, allo spuntare dell’alba, il fantasioso sagrestano si svegliò, si alzò e di gran carriera corse nel frutteto parrocchiale, scelse la pianta più robusta, e in un battibaleno staccò dalle piante fruttifere che lo circondavano i germogli di tutti i tipi di frutta, e li innestò nei rami di quella robusta pianta. Tutto questo senza che nessuno lo vedesse e ben prima che suonasse l’Ave Maria. Gli innesti germogliarono in poco tempo, anche la luna fece il suo corso. In quella pianta maturarono frutti di ottima qualità, di una bellezza irreale e di un sapore dolcissimo. Il parroco, accortosi di quel ben di Dio, chiamò a se chierichetti e giovincelli che frequentavano l’oratorio, e mostrò loro la pianta delle meraviglie. Sembrava ornata di colori tenui, concertati tra svariate tonalità e specie di foglie verdi.

Il sagrestano tirava le corde delle campane echeggianti a festa, e in un battibaleno si sparse la voce nel paese tra i casolari del circondale, le ambasciate raggiunsero valle e città. Eravamo ormai sotto quel dì di festa! Nessuno si fece attendere, giovanotti e giovincelle si vedevano e si sentivano, arrivavano mormorando e cantando da ogni itinerario, tutti a passo svelto si addentravano nei vicoli dell’ormai decantato paesello. Stavano in processione ad attendere per poter salire sul magico albero, dalla sera alla notte, e le donzelle sotto, in attesa di aspettare che finalmente il loro gladiatore scendesse da quei rami, portando loro in dono qualche desiderato frutto. La sera era stellata, e la luna illuminava la notte, poi l’aurora, il sole saliva alto e di nuovo stava tornando il tramonto, purtroppo anche la meravigliosa pianta era ormai quasi spoglia. Tanti, tanti ancora erano in attesa tra i colori del tramonto, si vedevano però ancora alcuni grappoli di frutta di ottima qualità sulla cima, erano ancora in tanti a voler salire nonostante il pericolo e la difficoltà.

Allora al sacerdote gli venne un’idea! Fece chiamare tutti in radunanza, dalla chiesa al sagrato, salì sul pulpito e disse: “Non pensavo! Una pianta meravigliosa, stupenda, ma pur sempre un pianta, riuscisse ad attirare a se tanto piacere e attenzione, e non poter accontentare. Cari giovani, non ci resta che giocare. Andremo nel bosco! Il pino più alto taglieremo, qui sul sagrato lo porteremo, dalla scorsa lo puliremo, poi, di strutto, lo ungeremo, e di nuovo lo innalzeremo. Ecco il gioco che inventeremo! Chi vorrà salirà, ma attenzione, solo chi per primo la cima toccherà vincerà, così potrà finalmente salire i lunghi rami della meravigliosa pianta e cogliere quei pochi ma tanto desiderati frutti.”