NEL
MONDO SOTTERRANEO DI OLIERO
"Naiade
che in quest'antro opaco hai sede,
E dall'urna acque versi e fresche e chiare,
Deh! non t'incresca che un mortale il piede
Nei cheti tuoi recessi osi inoltrare;
Ch'ei qui non move allo splendor di tede
I tuoi tranquilli sonni per turbare:
Solo desìa mirar tua grotta oscura
In cui se stessa superò natura"
Con questi versi Casimiro Bosio, nel 1841, evocava la magica atmosfera
avvertita dai primi visitatori delle grotte di Oliero allora da pochi
anni aperte al pubblico. Situate nella valle del Brenta, in comune di
Valstagna, le sorgenti dell'Oliero sono gli scarichi idrici più
importanti dei massiccio carsico dei Sette Comuni e le più grandi
sorgenti valchiusane d'Europa.
Per
comprendere l'origine geologica del fenomeno dobbiamo risalire nel tempo
fino all'ultima glaciazione, conclusasi circa 10.000 anni fa, quando
l'azione dei ghiacciai presenti sull'altopiano di Asiago incise nella
tenera roccia calcarea numerose ed estese depressioni: l'acqua piovana
raccolta da queste doline scende ora in profondità guidata da
inghiottitoi, faglie e stratificazioni della roccia, per scaricarsi
infine all'esterno attraverso le imponenti sorgenti a sifone dell'Oliero.
Il calcare, attaccato dall'acqua carbonicata, viene discolto e portato a
depositarsi all'uscita dalle fessurazioni della roccia quando si
verifica un sia pur minimo gocciolio: si formano allora quei magnifici
ed irreali concrezionamenti che sono le stalattiti, le stalagmiti, le
colate, i festoni, i capelli d'angelo ed altri ancora.
Le grotte attualmente aperte al pubblico sono quattro: dalle due più in
basso scaturisce il fiume Oliero, mentre i due "covoli"
superiori, antichi sbocchi delle medesime sorgenti, sono ora asciutti.
Attraversando il suggestivo parco delle grotte, un viottolo sale
tortuosamente a raggiungere il covolo degli assassini ed il covolo delle
sorelle; il primo di questi sembra sia stato abitato nell'antichità,
come testimoniano alcuni utensili ritrovati nel corso di passati scavi.
Li sovrastano altissime pareti rocciose sulle quali si può ammirare un
ricco campionario della flora rupestre, primo fra tutti in bellezza il
raponzolo di roccia.
Si scende quindi a raggiungere la conca tra le due grotte principali,
completamente circondata dalle freschissime acque sorgive ed immersa nel
verde di piante secolari. Vicinissima si apre la bassa e larga
imboccatura del covolo dei Siori o grotta Parolini, dal nome dei suo
scopritore che la esplorò nel 1822. Dieci anni più tardi il celebre
botanico la rese accessibile al pubblico che, penetrandovi in barca
attraverso il vasto lago interno, poteva ammirare " ... l'ampie
sotterranee volte panneggiate di stalattiti bizzarramente stagliate a
frangie, sfilate a trine, spianate in veli, sospese a tende, a cortine,
specchiantisi e per poco lavantisi nelle cristalline acque del
fiume".
La temperatura dell'aria all'interno della grotta è di 12 gradi, quella
dell'acqua di quasi 9: tali valori si mantengono costanti in tutto
l'arco dell'anno. La profondità dei laghetto è di circa 28 metri; il
sifone che lo alimenta, visibile sul fondo quando l'acqua è
particolarmente limpida, ha una portata variabile da uno a venti metri
cubi al secondo.
La sorgente dell'Oliero ospita nelle sue acque un raro fossile vivente:
il Proteo, un anfibio troglobio presente solo nelle cavità dei Carso
triestino e sloveno.
Il Parolini ne portò qui alcuni esemplari per verificare se esso
potesse ambientarsi e svilupparsi anche nella sua grotta: perso di
vista, non se ne seppe più nulla fino ad un avvistamento di alcuni
speleosub nel 1964, segno evidente che l'esperimento era pienamente
riuscito.
Ma
ritorniamo al mondo geologico. Ammirati lungo il percorso lacustre i
vari concrezionamenti della volta, si scende all'imbarcadero interno,
raggiungendo subito dopo la sala della colata: è questa una cascata di
stalattiti alabastrine, alta ben quattordici metri, che discendono ad
onde, si uniscono, si accavallano, infine si dividono, in un bizzarro
sovrapporsi di forme e di colori.
Altre sale più interne si diramano da questa partendo da qualche decina
di metri più in alto: sono i rami alti, appannaggio esclusivo degli
speleologi, esplorate compiutamente alcuni anni fa dal Gruppo Grotte
Giara di Valstagna.
Ma non sono solo le meraviglie sotterranee ad incantare il visitatore;
è l'ambiente stesso in cui le grotte sono inserite, con i suoi queruli
rivi di freschissima acqua, le incombenti pareti rocciose alzate a
strapiombo sopra i sentieri dei bosco, i colossi arborei piantati dal
Parolini, qui come nel parco di Bassano, al ritorno delle sue spedizioni
botaniche in terre lontane, che invita lo spirito a ristorarsi nella
silente pace della natura: " ... né havvi anima un po' inclinata
ad una dolce mestizia o ad un pensoso raccoglimento che non vi si trovi
quasi in un suo nido, che non senta la seduzione ed il fascino di quegli
antri cupi e gocciolanti, di que' verdi freschi, di quelle acque
gementi, di quel silenzio, di quella pace, non lieta ma profonda ed
inalterabile".
Tanta è la seduzione dei luogo che lo Zorzi qui ambientò nel suo
romanzo "Cecilia di Baone" il rapimento della bellissima
consorte di Ezzelino: da essa dunque prende il nome la seconda delle
cavità da cui sorge l'0liero: la grotta appunto di Cecilia di Baone o
covolo dei veci.
E' la prima ad essere scorta dal ponte che scavalca il torrente presso
l'entrata del parco e quella di più imponente apparenza; così la
descrive George Sand: " ... L'ultima grotta è quella che men delle
altre attira l'attenzione dei curiosi, ma è invece la più bella. Essa
non offre né ricordi drammatici né rarità mineralogiche, la sorgente
profonda sessanta piedi, è nascosta sotto una volta aprentesi sul più
bel giardino naturale della terra. Da ogni lato la racchiudono piccoli
colli boscosi. Di fronte alla grotta, al termine di una prospettiva di
fiori e di verzura che parrebbero caduti sui fianchi dei monte dal
bouquet di una fata, si eleva, gigante sublime, una roccia
perpendicolare, resa simile dal tempo e dagli uragani ad una rocca
recinta dalle sue torri e dai suoi bastioni. Questo magico castello, che
si perde tra le nubi, corona il quadro fresco e grazioso del primo piano
di una maestà selvaggia. Contemplare dal fondo della grotta questo
picco pauroso, seduti al bordo della sorgente con i piedi appoggiati su
un tappeto di violette, tra il fresco sotterraneo dell'antro e l'aria
calda che spira dalla valle, mi diede un benessere, una gioia che avrei
voluto poter portare sempre con me".
Attraverso
il parco delle grotte si snoda il "sentiero natura", un
percorso naturalistico che guida il visitatore a scoprire i vari aspetti
di questo suggestivo ambiente: lungo l'itinerario le varie piante
erbacce, gli alberi e gli arbusti sono identificati da una targhetta che
ne indica il nome; in alcune localizzazioni particolarmente
significative dei tabelloni tematici illustrano la vita del bosco, i
rapporti tra l'uomo e l'ambiente, la flora e la fauna, la geologia delle
montagne. Quelle dell'Oliero non sono però le uniche sorgenti
valchiusane della zona: spostiamoci un po' più in su lungo il corso dei
Brenta e, appena un chilometro a nord di Valstagna, troveremo il
laghetto del Ponte Subiolo. Il nome gli deriva da "subio",
zufolio: la leggenda vuole infatti che in queste acqua avessero dimora
le Anguane, bellissime sire. ne custodi delle valli e delle sorgenti,
che coi i loro canti ed i loro richiami notturni ammaliavano i passanti.
Anche il lago dei Subiolo, come già quello della grotta Parolini, non
è altro che un grosso sifone dal quale, nei periodi di piena, l'acqua
emerge ribollendo come in un'immensa caldaia.
Numerose sono state le esplorazioni subacquee di questa sorgente che
cela al suo interno svariate cavità sommerse; ma ricordiamo al
proposito anche la sorgente dei Fontanazzi di Solagna che, ancora in
corso di esplorazione, sta rivelando ai sub le meraviglie dei suoi
abissi sotterranei.
Alzando lo sguardo, qualche decina di metri più in alto si scorge una
volta di rocce circondante l'ingresso di un altro speco: si tratta
dell'antico sbocco sorgentizio, che si interna per circa duecento metri
nelle viscere della montagna.
Aperta al pubblico nel periodo tra le due guerre, la grotta è
attualmente frequentata solo dagli speleologi in quanto dei crolli hanno
reso agibili con difficoltà alcuni tratti.
Giunti al termine della nostra visita a questi "antri cupi ed
alpestri orrori" collocati dal la natura nei recessi della nostra
valle forse anche noi potremo dire con il Cabianca:
" ... Quanto mi piace questo vostro Eliso!
Qui gli antri e le selvagge
Rocce, qui il fiume che sonante e puro
Dal liquor dell'oliva il nome tragge,
Qui tutto spira un'aura mesta e pia,
Un senso di gentil malinconia,
E il core dolcemente
La sente e l'accarezza
Perchè un fiore del cielo è la tristezza".